Svegliarino
Il morto da rischiare
Stefano Olivari 27/07/2008
I media sono professionisti dell’allarmismo, che tiene desta l’attenzione del lettore più delle rassicurazioni, ma va detto che nella stagione 2007-2008 tutti gli indicatori riguardanti la violenza in qualche modo legata al calcio sono hanno indicato un diminuzione degli episodi criminosi. Non per un miglioramento del senso civico dei tifosi, ma per la prudenza dell’Osservatorio del Viminale: criticata da molti dirigenti, buon ultimo Matarrese (chi è secondo lui che non vorrebbe gli stadi pieni?), ma doverosa ed in ogni caso con l’ultima parola che spetta ai prefetti. Sono infatti queste figure, che secondo Cossiga (non abbiamo però capito perché) sarebbero da abolire, che decidono poi le cose che nel nostro micromondo fanno titolo: la partita a porte chiuse, senza tifoseria della squadra ospite, eccetera. Con l’ovvia considerazione che non si può impedire a migliaia di dementi, spesso nemmeno riconoscibili con sciarpe o bandiere, di imboccare strade ed autostrade compiendo i propri crimini lontani dagli stadi. Venendo all’attualità, la prima giornata di serie A presenta già due situazioni ad altissimo rischio: Fiorentina-Juventus e Roma-Napoli. Nella scorsa stagione quella che per Firenze è la partita dell’anno si giocò senza tifosi juventini, almeno quelli organizzati, ripetere l’esperienza sarebbe un male per la civiltà di una nazione ma un bene per l’ordine pubblico. Smettiamola di pensare agli ultras, stando ai profili dei fermati la maggior parte dei tafferugli è statisticamente causata da gruppetti o singoli non inquadrati militarmente in alcuna associazione. Stesso discorso per Roma-Napoli, l’anno scorso il disastro fu evitato di poco ma i messaggi non solo web fra le tifoserie sono abbastanza chiari. Rischiare il morto per dimostrare che l’Italia è civile? Ognuno ha la sua risposta estremisticamente opposta, ma l’unica verità è che il calcio ha una funzione di controllo sociale ormai insostituibile. Per questo non c’è misura straordinaria a cui non ci si possa abituare.
Stefano Olivari
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