Il Mondiale di Bergoglio

14 Marzo 2013 di Stefano Olivari

Il nome di Jorge Mario Bergoglio fino a due giorni fa poteva evocarci sensi di colpa da disinformazione: un giocatore del Catania che non conoscevamo, un talento consigliato da Cambiasso per fare il vice Alvarez e del quale mai avevamo letto, un giornalista argentino di cui avevamo dimenticato la testata. E invece non era senso di colpa, ma proprio disinformazione-ignoranza. Per questo non ci improvviseremo conoscitori delle sue posizioni in materia religiosa e politica, anche se sarebbe sufficiente un sano copia e incolla. Dell’elezione di Francesco I ci ha colpito soprattutto la dimensione calcistica delle reazioni, lo diciamo con tutto il rispetto. E non ci vergognamo di pensare al Nando De Napoli di Italia ’90, ogni volta che a Messa durante il Padre Nostro i presenti si prendono per mano (per questo stiamo in disparte, schifiltosi come Michael Jackson). Il De Napoli che più forte di tutti cantava l’inno di Mameli mentre teneva la mano al Principe Giannini, che la teneva a Maldini, che la teneva a Zenga e ci fermiamo qui. In piazza San Pietro tutto faceva pensare a un Mondiale, non a un conclave: fra foto, iPad, giornalisti alla ricerca dell’aneddoto (l’aneddoto!) maglie da gioco (non solo quelle argentine), bandiere ed esultanze. Il tutto poi replicato in maniera caricaturale dai media, con ogni argentino legato al calcio che è stato interpellato e sventurato ha risposto. Senza sapere niente della storia di Bergoglio abbiamo solo pensato che vista l’età (è del 1936) di sicuro qualcuno lo avrebbe tirato in ballo per parlare dell’Argentina della dittatura 1976-1983. Rimaneva solo da capire se come dissidente o come fiancheggiatore dei vari Videla e Massera. Buona la seconda, stando ad alcuni giornalisti argentini che però non hanno (ancora) portato nessuna prova a supporto di questa tesi, se non una generica accondiscendenza del clero argentino nei confronti dei militari. Certo è che quei sette anni e quel Mondiale imbarazzante (da Quiroga alle intimidazioni agli olandesi) sono per l’Argentina un po’ quello che il biennio 1943-45 è stato ed in parte ancora è per l’Italia. Un pretesto per applicare i pregiudizi del presente a categorie del passato. Insomma: se Olguin e Tarantini non potevano non sapere, figurarsi un uomo di cultura come Bergoglio. La differenza, visto che siamo nel 2013, è che i testimoni italiani sono quasi tutti morti mentre quelli argentini no. E, come ci suggerisce un amico, non è una differenza da poco.

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