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Il modulo per rimanere vivi

Luca Ferrato 05/03/2009

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di Luca Ferrato

“All’inizio era il caos e il calcio non aveva forma, poi arrivarono i Vittoriani”. Un libro che inizia in questo modo sicuramente vuol darsi subito un tono importante, senza scomodare la parola biblico. Anche se l’incipit ci ricorda qualcosa scritto molto tempo fa…Proprio così inizia il nuovo libro di Jonathan Wilson “Inverting the pyramid, a history of football tactics”, edito in Gran Bretagna dalla Orionbooks al prezzo di 18,99 sterline. Se un lettore si fermasse al titolo, probabilmente non acquisterebbe il libro di Wilson, il solo pensiero di 356 pagine intrise di schemi e tattiche farebbe rabbrividire e spaventerebbe addirittura Arrigo Sacchi. Ebbene, questo libro è esattamente l’opposto. Interessante, intrigante, ricco di episodi inediti e con le tattiche calcistiche che via via si sono susseguite nel corso degli anni, che vengono spiegate però semplicemente, a volte con disegni e a volte solo rappresentando dettagliatamente l’inventore di tale schema o l’idea che l’ha portato a crearlo.
Il libro inizia veramente da quando il calcio non aveva forma, cioè dalla metà del XIX secolo e in particolar modo da quella sfida Scozia-Inghilterra giocata all’Hampden Park di Glasgow, che fu il primo match internazionale giocato fra rappresentative nazionali (a dir la verità la Scozia quel giorno schierò l’intera squadra del Queen’s Park, una potenza all’epoca). La partita, nonostante gli scozzesi si schierassero con quello che ad oggi potremmo definire un 1-2-7 e gli inglesi con un 2-2-6, finì a reti bianche, con buona pace di chi oggi ritiene che gli unici problemi del Milan siano dati dal fatto di non mettere in campo due o tre punte. Grande spazio ovviamente viene dato a quegli allenatori che veramente portarono delle innovazioni in campo tattico. In primis Herbert Chapman che, negli anni ’20 e ’30, prima con l’Huddersfield Town e poi con l’Arsenal, fu in qualche modo l’ideatore del famoso sistema a WM ( o 3-2-2-3) utilizzato poi fino almeno alla metà degli anni ’50.
Fu con quello schema che gli inglesi affrontarono l’Ungheria di Gustav Sebes a Wembley, nella famosa amichevole del 25 novembre 1953. Quel giorno qualcosa cambiò veramente, anche se gli inglesi non se ne resero conto e qualche mese dopo vennero nuovamente travolti a Budapest dagli ungheresi. Gli uomini di Sebes non cambiarono così tanto a livello difensivo – dove comunque Lorant si schierava un po’ più indietro rispetto alla linea di difesa composta da sinistra a destra da Lantos, Zakarias, Bozsik e Buzanszky– ma soprattutto molto cambiò a livello offensivo dove il numero nove, tale Nandor Hidegkuti, giocava in posizione più arretrata (da quel momento si iniziò a parlare del “centravanti alla Hidegkuti”) dando così la possibilità ai vari Puskas, Kocsis, Czibor e Budai di inserirsi per calciare a rete. Gli inglesi non ci capirono assolutamente niente e continuarono a marcare quel centravanti che si muoveva ovunque con il loro terzino.
Wilson ovviamente non si limita agli aspetti più conosciuti o agli allenatori più famosi ma anzi spazia nei quattro angoli del globo per scoprire gli episodi più curiosi. Ad esempio quasi tutti conoscono il colonnello Lobanovsky e quanto ha fatto con la Dinamo Kiev, soprattutto a riguardo della preparazione fisica. Pochi invece conoscono Viktor Maslov e il suo “disordine organizzato” proposto nei campionati sovietici con la Dinamo Mosca, la Torpedo e con la Dinamo Kiev, dove giocava proprio un certo Lobanovsky. I due tra l’altro non andavano per nulla d’accordo ma il colonnello ricavò gran giovamento degli insegnamenti avuti da Maslov, una volta diventato allenatore. Interessanti anche i capitoli su Bela Guttmann e quanto ha fatto per il calcio brasiliano “post disastro Mondiale 50” e su come gli argentini abbiano cambiato il loro stile di gioco e il loro approccio alle gare alla fine degli anni ’50.
Il capitolo dedicato al Catenaccio è ovviamente molto incentrato sulla scena italiana, anche se si dice che ne fu inventore l’austriaco Karl Rappan che lo utilizzò per la prima volta con la Svizzera ai Mondiali del 1938. Sfiora un po’ la leggenda l’episodio legato a Gipo Viani e a come pensò per la prima volta al suo “Vianema”. Pare che il buon Gipo, un pomeriggio della fine degli anni ’40, mentre passeggiava sul lungomare di Salerno (allora era allenatore della Salernitana) si fosse soffermato a guardare i pescherecci che rientravano al porto. In particolar modo rimase colpito dal fatto che le barche utilizzavano una prima rete per pescare il pesce e sotto a quella un’altra rete che riusciva a catturare il pesce che era fuoriuscito o non era riuscita a prendere la prima. Gipo pensò allora che dietro a una barriera difensiva era meglio mettere un altro giocatore (battitore libero) che sarebbe riuscito a fermare i giocatori sfuggiti alla prima linea di difesa. Storia intrigante, anche se è più probabile che Viani abbia conosciuto Rappan e il modo di giocare degli svizzeri.
Wilson ovviamente esamina anche il calcio totale olandese e ha un occhio di riguardo per il Brasile formato solo da trequartisti del 1970. Invece, nel caso qualcuno pensasse che il pressing sia un’invenzione italiana (o dell’Olanda del calcio totale), dia un’occhiata a ciò che l’autore scrive riguardo al Watford di Graham Taylor dei primi anni ’80. L’allenatore inglese sosteneva che a volte le squadre alzano il ritmo e costringono gli avversari nella propria metà campo solo negli ultimi 15-20 minuti, il più delle volte spinti dalla disperazione, dalla necessità di recuperare un risultato. Ebbene Taylor disse alla sua squadra che bisognava imporre quel ritmo dall’inizio, puntando tutto su un eccellente condizione fisica che, nel caso del Watford acquistato qualche anno prima da Elton John, andava a scapito anche della tecnica.
Il libro si conclude parlando del Milan di Sacchi, della decadenza tattica degli anni ’90 e della speranza riacquistata con quanto visto nei tornei internazionali del nuovo millennio. Perché come dice l’Arrigo nazionale:” Nel calcio ci sarà sempre qualcuno che ha voglia di innovare, di portare qualcosa di nuovo. Quando nessuno più lo farà il calcio morirà”.
ferratoluca@hotmail.com
(in esclusiva per Indiscreto)

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