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Il messaggio di Petrucci

Stefano Olivari 24/06/2008

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Interessante è la posizione di Gianni Petrucci, il quale dopo la giunta Coni che ha ufficializzato Antonio Rossi portabandiera italiano a Pechino ha lanciato messaggi chiarissimi parlando di ‘Donadoni ancora c.t. dell’Italia’ e di ‘Diritto alla sconfitta’: discorso sacchiano, spesso applicato agli amici e dimenticato per i nemici, ma non per questo meno valido. La traduzione politico-sportiva, alla luce anche della frase ‘scorretto parlare di ritorni’, è che il destino di Donadoni sia chiaramente segnato. Nemmeno un suo amico per la pelle potrebbe pensare che l’Italia possa avere per i prossimi due anni un allenatore ‘sopportato’ dalla federazione ed ormai scaricato da gran parte dei media: meglio finirla qui, al di là degli errori sportivi che il c.t. può avere fatto. Quello che Petrucci ha segnalato ad Abete, ricoperto di elogi esagerati (in fondo è stato per anni il vice di Carraro: connivente o ingenuo?), è che la maglia azzurra non deve tornare ad essere quel terreno di scambio di favori e di ricatti da parte dei grandi club che era prima di Calciopoli. Pur essendo uomo di campo, Lippi è il volto per così dire presentabile di quel mondo. Ma va bene Lippi, è campione del mondo e non ha commesso reati. Quello che non deve tornare è la nazionale taxi, dove si sale e si scende a seconda della convenienza del momento (una convocazione fa schizzare le quotazioni: ci sono venti italiani che potrebbero fare il terzo portiere o la quinta punta) e dell’avvicinarsi del Mondiale (vedere Totti, che ‘Grazie Marcello’ medita di richiamare). Non è un caso che il miglior Lippi azzurro, quello più lineare al di là dei risultati, sia stato il Lippi di quei due mesi in cui il calcio di club sembrava spazzatura (del resto lo era ed in gran parte lo è rimasto) e la federazione praticamente non esisteva.

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