Il massimo della passione

15 Novembre 2021 di Glezos

Domenico Paris mi frega sempre. Volevo diluire il suo ultimo libro in due-tre giorni, ma analogamente al precedente ho divorato Il massimo della passione in un’ unica seduta, dal primo all’ ultimo ritratto dei dieci pesi massimi più famosi di sempre, immortalati in un episodio, un momento, un lasso di tempo che ne proiettano luce, ombra e grandezza. Jack Johnson, Joe Louis, Sonny Liston, Primo Carnera, Mike Tyson, ma anche Pasqualena, madre di Rocky Marciano, le figlie di Joe Frazier e Muhammad Ali e altro ancora. Da dove cominciamo?

Domenico Paris: ‘Il massimo della passione’ nasce come seguito naturale del mio libro precedente, ovvero ‘I medi sono il massimo’. Ho esplorato la categoria dei pesi massimi dopo quella dei medi non solo per l’ appeal dei colossi rispetto a un pubblico mainstream, ma soprattutto per le biografie dei protagonisti della categoria. Ne ho scelti dieci, mantenendo come peculiarità l’ inclusione di un pugile italiano: nei medi Nino Benvenuti, qui Primo Carnera, la cui vita parecchio movimentata mi è sembrata perfetta per costruire il racconto.

Glezos: In più di un capitolo hai optato per la narrazione in prima persona. Non è una scelta un po’ rischiosa?

DP: Il mio approccio è di narrativa pura: ci tengo a precisarlo, dato che non mi interessava raccontare questi grandi personaggi dal punto di vista strettamente biografico. Ricorro spesso alla forma di narrazione autodiegetica, anche se il perché è difficile da spiegare: un po’ la sento nelle mie corde, e comunque l’ idea che potesse essere una scelta inadeguata non mi ha sfiorato nemmeno per un secondo.

G: Tra i pesi massimi che hai trattato, chi ti piace meno e chi di più?

DP: Quello che mi attrae meno potrebbe essere Larry Holmes, anche se poi mi sono divertito moltissimo a scrivere il suo capitolo, mentre forse il mio preferito dal punto di vista della narrazione è Rocky Marciano. Questo perché l’ ho fatto raccontare da Pasqualena Picciuto, ovvero sua madre, personaggio assoluto e sicuramente all’ altezza del suo figliolo, anche se credo che tutte le storie incluse nel libro siano coinvolgenti. A partire da quella di Sonny Liston e del suo incredibile rapporto con un bambino scozzese che tentò anche di adottare, vicenda assolutamente vera che sfata il mito del Liston supercattivo e senza sentimenti. 

G: Hai una categoria di peso preferita?

DP: A livello di protagonisti amo particolarmente le categorie che vanno dai leggeri ai welter, perché penso che in quella fascia negli ultimi 100 anni si siano probabilmente espressi i talenti più grandi. Ai picchiatori preferisco gli schermitori, ma in tutte le categorie ci sono pugili che mi fanno diventare matto, anche nomi dimenticati come Jimmy Wilde o Panama Al Brown, che compare nei libri di Hemingway.

G: Restando nell’ ambito della categoria protagonista del tuo libro, come definiresti in poche parole il concetto di potenza?

DP: La potenza è spesso un concetto fuorviante anche nel caso di un pugile che ha un record con tante vittorie prima del limite, dato che esistono da sempre distruttori a lungo termine e altri caratterizzati dal singolo pugno. Per esempio, uno dei pugili che ho adorato di più è Julian Jackson, che era in grado di spegnere le luci dell’ avversario con un singolo gancio. Ma i grandi picchiatori sono anche quelli che costruiscono le loro vittorie prima del limite attraverso un’ opera di demolizione sistematica. Vedi Carlos Monzon, che non risolveva la contesa con un singolo colpo, ma che col passare delle riprese diventava completamente inarginabile, come Carlos Zarate nei pesi gallo oppure Khaosai Galaxy nei supermosca. In generale il picchiatore dal singolo colpo è molto più raro del distruttore a lunga distanza: oggi ad esempio abbiamo un fenomeno assoluto come Naoya Inoue – a mio parere già da annoverarsi tra i più grandi di sempre nei pesi gallo – capace di risolvere l’ incontro sia con entrambe le mani che con un colpo singolo, con una potenza che rapportata al suo peso lascia anche un po’ perplessi. Il problema è che alla parola ‘potenza’ uno pensa immediatamente ai pesi massimi, quando in realtà i più grandi picchiatori appartengono a categorie inferiori: Archie Moore ha un record di 132 KO su 220 incontri ed era un mediomassimo, mentre quell’iradiddio incontenibile di Henry Armstrong è l’unico campione pre-sigle a detenere le corone di piuma, leggeri e welter. Oggi abbiamo Deontay Wilder, che nel destro ha una sorta di arma impropria, ma personalmente preferisco soffermarmi sui picchiatori per così dire seriali. Anche perché chiudere l’ incontro con un singolo pugno non è facile.

G: Mi vengono in mente due nomi anni Settanta da “single punch” come Earnie Shavers e Ron Lyle, che non hanno mai vinto il titolo.

DP: Nomi storici, che hanno condotto incontri notevolissimi contro avversari ragguardevoli. Ma al tempo stesso la dimostrazione che non sempre il singolo pugno risolve le contese.

G: Sei un grande appassionato di musica. Un disco, un album o una singola canzone che colleghi istantaneamente alla boxe.

DP: Se dovessi rispondere da appassionato di hard rock o heavy metal potrei citarne molte, anche perché al pugilato collego una certa muscolarità musicale, visto che non sono il tipo che tira fuori la solita ‘Hurricane’ di Dylan o il Miles Davis di ‘Jack Johnson’. Ti faccio un esempio classico mainstream, ovvio e al tempo stesso meno sbagliato: ‘Eye Of he Tiger’ dei Survivor da ‘Rocky III’. Be’, io questo pezzo non lo collego alla boxe ma alla saga di Rocky, che non sempre ha fatto bene al pugilato, quindi a livello generale il gemellaggio musica-boxe lo vedrei poco. Ti dirò che da un po’ di tempo a questa parte mi viene spesso in mente ‘I Don’t Wanna Miss A Thing’ degli Aerosmith, che il grande Tyson Fury – che adoro in modo quasi sconsiderato – ha cantato alla moglie dopo un incontro. Quindi adesso ogni volta che l’ ascolto mi viene in mente lui, in un legame particolare che magari vedo soltanto io.

G: Il tuo film e libro preferiti in ambito pugilistico.

DP: Partendo dal presupposto della mia laurea in storia del cinema, le pretese rispetto alla forma sono per così dire elevate. Quindi ti dico ‘Toro scatenato’, perché ha tutto: riesce a catturare il personaggio Jake La Motta, dà vita a un’ interpretazione straordinaria come quella di Robert De Niro, e poi per tutta la storia che c’ è dietro, maestria di Scorsese inclusa. Per quanto riguarda il libro, anche per motivi strettamente personali direi ‘La grande boxe’ di Rino Tommasi, libro del quale conosco interi brani a memoria. E non scherzo, dato che ai tempi in cui pubblicai il mio primo romanzo fui invitato da Tommasi a casa sua, con lui che mi raccontava episodi della sua carriera e io che citavo il prosieguo del suo racconto riga per riga dal suo libro, con lui che scoppiò a ridere dicendomi: “Ne sa più lei di me che io stesso”. Quindi scelgo ‘La grande boxe’ per un fatto emotivo e di formazione, mentre per valore letterario direi ‘Panama Al Brown. Il ragno del ring’ di Eduardo Arroyo.

 

G: Domanda secca: cosa manca oggi in Italia?

DP: Domanda da un milione di dollari. Ce lo chiediamo tutti: appassionati, pugili, tecnici, organizzatori e vari addetti ai lavori. Un grande passo in avanti sarebbe l’ acquisizione di un canale televisivo in chiaro dedicato alla boxe, sulla scia di quanto ha fatto la federazione italiana di tennis con ‘Supertennis’. Potrebbe essere la mossa decisiva, nonostante l’ impegno profuso da DAZN nell’ allestimento e trasmissione di incontri di alto livello anche in Italia. Non so se il progetto sia frenato da beghe politiche, economiche o da entrambe le cose, ma si trasformerebbe in un volano davvero unico. Per quanto riguarda il lato spettacolare-sportivo la cosa singolare è che in Italia non ci sono mai stati così tanti pugili amatoriali come adesso: la boxe è uno sport che negli ultimi 10 anni è letteralmente esploso, ma che fatica tantissimo a produrre valori agonistici. Le ragioni sono diverse, a partire dalla tendenza da parte della FPI a favorire da troppo tempo lo sviluppo del pugilato dilettantistico a scapito di quello professionistico, con i migliori elementi – da Russo a Cammarelle – che hanno scelto di rimanere dilettanti con uno stipendio che gli permette di continuare a fare i pugili potendo contare su una certa sicurezza economica. Non condanno la loro scelta, ma bisognerebbe porre dei limiti al dilettantismo di stato: se da ragazzo mi avessero detto che nella boxe l’ Italia si sarebbe trasformata in una piccola Cuba sarei rimasto basito. Inoltre, l’ interesse nei confronti del pugilato professionistico è un po’ frenato dall’ esplosione di altri sport più o meno affini (affini per nulla, a mio parere) come le MMA. Per carità: non ho nulla contro questo sport, che calamita l’ interesse di molta gente affascinata dalla lotta pura e del combattimento stradaiolo che le fa preferire alla boxe. Che – non dimentichiamolo mai – resta la Nobile Arte.  

SUL RING – Nel frattempo, a Phoenix nella notte tra sabato e domenica come da previsioni David Benavidez (25-0) ha demolito la resistenza dell’ultrastoico Kyrone Davis (16-3) per getto della spugna al 7° round, aggiungendo un altro metro sulla strada che porta al titolo dei supermedi di Canelo Alvarez. Si farà?

Qualche ora prima a Sheffield grande sorpresa – anche se non per tutti – per il clamoroso crollo di Kid Galahad (28-2), abbattuto al 6° round dal sempre pericolosissimo sfidante spagnolo Kiko Martinez (43-10) per la corona IBF dei pesi piuma. Il replay del destro che ha chiuso i conti – carta carbone del rovinoso KD subito da Galahad nel round precedente, dopo 5 riprese dominate da quest’ ultimo, campione in carica – farà riflettere a lungo sia lui che l’ esterrefatto Eddie Hearn (“Mai visto niente del genere”), che già coltivava progetti dorati per il suo protetto. Càpita.

Poco prima sempre a Sheffield Alycia Baumgardner (11-1) causava il primo shock della serata infliggendo un tremendo KO (in piedi!) alla 4° ripresa a Terri Harper (11-1-1), detentrice dei titoli femminili superpiuma WBC e IBO. Tutto questo mentre al Honda Center di Anaheim andava in scena l’ attesissimo scontro tra Jaime Munguia (38-0) e Gabriel Rosado (26-14-1) per il titolo intercontinentale WBO dei pesi medi, rovente come può essere solo un derby Mexico-Puertorico. Netta vittoria ai punti per Munguia: il talento messicano prosegue la sua scalata ai rating dei pesi medi con baldanza, dopo 12 riprese senza quartiere in un clima da girone dantesco.

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