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Calcio

Il grosso problema del pranzo

Stefano Olivari 07/01/2010

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di Stefano Olivari
Il vero pubblico del calcio, l’esordio televisivo di Beckham e gli investimenti di Preziosi.


1. L’incasso da stadio incide per meno del 15% sui ricavi di una media società della nostra serie A, però ancora si sentono lamentele nel nome del ‘rispetto per il pubblico’ da addetti ai lavori che ignorano chi sia il pagatore ultimo di tutto il circo. Tolti il livello del gioco, dell’arbitraggio e della qualità del campo, non è stata forse bella Chievo-Inter alle 12 e 30? Nella peggiore delle ipotesi ha offerto una scusa in più per saltare un pranzo di famiglia o, peggio ancora, un mitico ‘weekend rilassante’ (molti nostri interlocutori sul piano pubblicitario ci dicono ‘buon we’ al mercoledì). Le critiche al nuovo orario pro-Asia, che dall’anno prossimo non sarà un’eccezione, si possono condividere sul piano etico (qui facciamo nostre le parole dell’amico Libeccio su questo sito) e su quello della nostalgia canaglia ma non certo su quello pratico. Siamo cresciuti in un’era da socialismo reale in cui non si vedeva niente ed adesso possiamo vedere quasi tutto: dov’è il problema? Il pubblico del calcio 2010 è quello che sta a casa e paga.
2. Il calcio-marketing non è riuscito a riempire San Siro per l’esordio-bis di David Beckham: 33mila spettatori ufficiali (25mila effettivi, vista l’assenza degli abbonati meno motivati) a fronte dei 50mila annunciati dai vari trombettieri dell’ottimismo. Il Milan è stato travolgente, il Genoa sull’onda lunga del borlottismo dell’anno scorso e con una difesa agghiacciante, il contesto desolante anche per l’assenza forzata dei tifosi rossoblu (solo un gruppetto di infelici che ha seguito la partita fuori dallo stadio). Ma perchè un padre milanista, con due figli milanisti, avrebbe dovuto spendere minimo (per vedere qualcosa) 150 euro morendo di freddo quando con la stessa cifra per tre mesi gli entra in casa tutto il mondo? Non si tratta di gente che il calcio ha perso, non hanno sostituito Milan-Genoa con un concerto per pianoforte e oboe: semplicemente hanno versato il loro obolo a Sky o Mediaset. Certo, il calcio dal vivo è diverso, eccetera, ma sono cose che ci raccontiamo fra vecchi. Un po’ come quelle sulla diversità della carta stampata rispetto al web. Noi ci crederemmo anche, ma è da anni che non vediamo un quotidiano in mano ad un adolescente. Ah già, la Premier League: quest’anno, pur avendo un’affluenza quasi doppia rispetto alla serie A, ha visto sparire 1.600 spettatori in media da ogni partita giocata rispetto alla scorsa stagione.
3. Dicevamo del borlottismo del Genoa: dalla Champions sfiorata alla cessione decisa da mesi di Milito e Thiago Motta, con tutto il resto e la ciliegina finale (per il momento) della cessione di Sergio Floccari alla Lazio. Ad un ottimo prezzo (Lotito pagherà il riscatto quasi 10 milioni), ma con il dettaglio che al suo posto è arrivata quasi gratis l’ombra di Suazo. Le squadre cosiddette medie, quelle che dovrebbero costruire l’alternativa alle tre del 75%, hanno strategie non sempre rivelabili ai tifosi. Il problema è che arrivati in alto le strade sono due: o diventi un’impresa di trading come l’Udinese, prescindendo dal pubblico, o spendi per il salto di qualità. Se no si crolla.
Stefano Olivari

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