Il gioco per i mille campanili

8 Febbraio 2008 di Stefano Olivari


1. Calcio e fascismo, quando si dice un titolo che annuncia il contenuto del libro senza trucco e senza inganno. Un tema analizzato in un numero infinito di opere, quasi tutte incentrate sull’importanza del pallone nel dare un’immagine vincente al regime ed in definitiva nel suo essere perfetto per ogni tipo di strumentalizzazione. Detta così non sembra un’esclusiva degli anni Trenta e nemmeno del fascismo, ma il merito di Simon Martin nel suo lavoro (scritto nel 2004, uscito in Italia con Mondadori) è quello di considerare le vittorie mondiali di Pozzo, nel 1934 in Italia e nel 1938 in Francia, un di più rispetto ai piani che Mussolini e gli esponenti più lungimiranti del fascismo avevano per quello che non era ancora lo sport più amato dagli italiani ma che si stava avviando chiaramente a diventarlo. L’analisi di Martin prende spunto dalla costruzione degli stadi di Firenze e Bologna, con relative lotte fra le varie correnti del fascismo, per analizzare in profondità il modo in cui Mussolini cercò di trasformare il calcio (che detestava) in un gioco fascista o almeno ‘italiano’. Missione compiuta dal punto di vista dell’immagine data all’estero: grazie a vittorie (oltre ai Mondiali le Coppe Internazionali, sorta di Europei dell’epoca, e l’oro olimpico di Berlino) strepitose, campioni indiscutibili (da Meazza e Piola agli oriundi di grande classe tipo Orsi e Monti) e stadi per l’epoca senz’altro all’avanguardia. Missione invece fallita dal punto di vista dell’identità nazionale: il calcio divenne sì il gioco degli italiani, ma esaltando uno dei nostri difetti peggiori, cioé il campanilismo. La base del successo italiano di questo sport non furono quindi la ‘razza guerriera’ che mai sarebbe nata, né un neoclassico culto del corpo (Mens sana in corpore sano), ma il puro e semplice tifo per il proprio orticello. Un’Italia pura entità geografica aveva trovato il suo passatempo.

2. Un’interessante inchiesta di Armando Torno sul Corriere della Sera ha evidenziato alcuni difetti strutturali del mercato italiano dei libri, non solo di quelli sportivi che oltretutto rappresentano una sottonicchia. Alcune cifre: circa duemila premi letterari (e c’è ancora qualcuno che ambisce a partecipare…), il 20% dei lettori che compra l’80% delle opere vendute, 600mila titoli in commercio, 62mila (7 ogni ora!) fra novità e ristampe all’anno, una vita media in libreria di 40-60 giorni di un libro che non sia Harry Potter. Inutile dire che la salvezza viene intravista nel web, soprattutto dai librai e dagli editori. Buoni i tassi di crescita (l’anno scorso più 30%) ma ancora bassi i numeri assoluti, mentre le librerie tradizionali e non specializzate chiudono una dopo l’altra. Una situazione simile a quella dei giornali: i prodotti cartacei presentano problemi distributivi enormi (al di là del fatto che nessun under 30 li legga più), ma il giornalismo sul web non ha ancora i mezzi per strutturarsi su basi professionali. Tutti a metà del guado, facendo marchette a destra e a manca: poi si legge di blogger americani che guadagnano di puro Google Adsense 20mila dollari al mese e si pensa che l’anno buono sarà il prossimo, sempre. Tornando al libro, essendo un oggetto perfetto dovrebbe avere vita più lunga dei giornali: è almeno una speranza.

3. Al di là del fatto che tutti gli ordini professionali, retaggio medioevale e familistico che ben si adatta al carattere italiano (in sintesi: i figli che occupano lo stesso posto dei padri, dal primario di endocrinologia all’impiegato del ministero passando per il giornalista del tigì), andrebbero aboliti, colpisce il fatto che solo da quest’anno la prova scritta dell’esame per diventare giornalisti professionisti si possa svolgere usando il computer. Cioé l’unico vero strumento di lavoro del giornalista, a parte qualche snob, da almeno una ventina d’anni a questa parte. È stata infatti appena pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la legge del 16 gennaio 2008 che modifica l’articolo 32 della legge del 3 febbraio 1963, n.69: la sostanza il cambiamento è quello che abbiamo descritto, visto che finora la prova si svolgeva usando la macchina per scrivere meccanica che un ventenne di oggi ha probabilmente visto solo in qualche vecchia foto, tipo quella famosa di Montanelli inginocchiato. Resistendo alla tentazione di rimpiangere i bei tempi andati e la ‘fisicità’ dello scrivere, ci si può però chiedere che senso abbia una prova d’esame (esame di Stato, va precisato) in cui copiare sia adesso diventato uno scherzo. Ma forse è proprio il giornalismo ad essere uno scherzo, visto che può raccontare la verità (e nemmeno sempre) solo su temi non fondamentali come calcio e celebrità. Altrimenti non ci sarebbe motivo per cui costruttori edili, industriali farmaceutici, banchieri, scarpari, politici ed imprenditori assistiti debbano fare gli editori di testate che quando va bene sono in pareggio.

4. La carta stampata è morta? Domanda epocale, con risposta negativa. Almeno dal punto di vista degli inserzionisti: nel periodo gennaio-dicembre 2007 il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale ha infatti registrato un incremento del 3.7% rispetto allo stesso periodo del 2006. Dati non provenienti da studiosi disinteressati, ma dall’Osservatorio Stampa Fcp, cioé la federazione delle concessionarie di pubblicità. Insomma, gente che ha tutto l’interesse a far sì che la ruota giri: in ogni caso si tratta di un aumento poco superiore all’inflazione, ma è comunque un segnale di tenuta di fronte all’avanzata della pubblicità sul web ed in generale alla contrazione degli investimenti, in un mondo diviso fra big spender di taglia mondiale ed una massa di aziendine locali, dal mobilificio alla carrozzeria. Interessante è notare che i quotidiani hanno registrato una crescita di fatturato del 4.5 % ed un incremento degli spazi dell’11.1%. Nostra traduzione: la pubblicità viene ormai venduta a prezzi stracciati. Più volte abbiamo sottolineato che la differenza fra free press e quotidiani a pagamento è puramente nominale, pensando a come venga drogata la diffusione con mezzucci tipo regali alle Ferrovie piuttosto che iniziative di lettura gratuita per i fantomatici ‘giovani’. Però nelle statistiche la distinzione esiste, quindi si deve sottolineare il più 26% di fatturato della stampa free propriamente detta: in termini assoluti parliamo di 89 milioni di raccolta totale annuale in Italia, più o meno quanto una delle ultime ricapitalizzazioni di Moratti. Discreto aumento per i mensili in generale (più 7,7%), stagnazione per i settimanali (meno 0,8). Nostra modestissima conclusione: per vendere la pubblicità basta che il giornale sia distribuito bene, conta poco chi lo prende e pochissimo chi lo legge. Tutte costruzioni teoriche, proiezioni, estrapolazioni. In una parola: fumo. Ci sta benissimo una citazione di Rino Tommasi, una frase del suo ‘Trent’anni a bordo ring’. Parlando della boxe Tommasi spiega che i soldi della televisione l’hanno tenuta in vita oltre i suoi limiti naturali, ma anche che come importanza e valore tecnico sia morta proprio nel momento in cui si è sottratta all’unico giudizio che conta. Quello del pubblico che paga il biglietto.

5. Non l’abbiammo letto ma ci interessa. ‘La Rete-Un ex presidente di Serie A vuota il sacco: il libro nero che inchioda il calcio italiano’, in edicola con il quotidiano Libero a 3 euro, è il libro con cui Giuseppe Gazzoni Frascara, ex presidente del Bologna, mette nero su bianco le denunce fatte in tante interviste e tanti interventi in lega. Nel centinaio di pagine, scritte materialmente da Ivan Zazzaroni, Gazzoni parla non solo di Calciopoli ma anche del doping amministrativo che insieme a quello chimico e ad un certo sistema arbitrale h
a falsato almeno un decennio di calcio. Il colpevole qui non è solo il solito maggiordomo, nel caso Moggi (fra l’altro editorialista di Libero), ma l’asse fra finanza e politica che ha deciso la spartizione di scudetti fra Juve e Milan con l’intermezzo romano, la lotta per la salvezza, il calciomercato ed in definitiva tutto. Si parla molto del ripescaggio in A della Reggina, grazie ad una fideiussione irregolare e con l’avallo politico di Carraro. Sullo sfondo della maggior parte dei casi Cesare Geronzi, personaggio che ha sostenuto direttamente ed indirettamente tutti i dirigenti del nostro calcio e che continua a mantenere un potere enorme. Lo sfogo livoroso di chi è fuori dai giochi? Purtroppo solo in minima parte. Intanto la peggiore delle creature calcistiche di Geronzi è ancora in circolazione: non personalmente ma attraverso le sue vedove mediatiche, i suoi direttori sportivi di stretta osservanza ed i suoi allenatori pluriesonerati.

Pubblicato sulla Settimana Sportiva

Share this article