Il Frankenstein di Enrico Ruggeri

29 Maggio 2013 di Paolo Morati

Enrico Ruggeri

Enrico Ruggeri non è certo uno che si adagia sugli allori della formula di successo. Laddove altri artisti hanno mantenuto nel tempo una rotta costante e monotona, il cantautore milanese (e interista) ha spesso orientato le vele per cogliere al meglio il vento della curiosità che porta a scoprire nuovi orizzonti musicali e della parola. E la pubblicazione del suo nuovo album, un concept ispirato all’opera Frankenstein di Mary Shelley, ne conferma ancora una volta la poliedricità. Anticipato dal singolo Diverso dagli altri con un video che ha come co-protagonisti Ale e Franz, Frankenstein è un progetto ambizioso, rischioso, con cui si riassumono per canzoni i temi attualissimi di una storia scritta duecento anni fa e al quale si affianca anche un breve racconto, L’uomo al centro del cerchio.

Insomma, in un momento storico in cui la canzone usa e getta sembra farla sempre più da padrona, Ruggeri da buon numero 10 conferma di essere un personaggio atipico, poco avvezzo ai classici palchi di denuncia ma capace di tirare fuori gli artigli della critica, con una osservazione della realtà fuori dal comune. E questo, va ribadito, snocciolando un’opera coerente sui diversi periodi di repertorio, dicendo la sua in modo aperto e (cosa lodevole) senza sentenziare. Dai Decibel in poi la sua avventura è infatti passata attraverso più fasi: dalla new wave alla chanson francais, mischiando a seconda dei casi ingredienti punk, rock, folk, pop, per fare da sfondo ai suoi testi e storie. Vero è che qualcuno non gli perdona (o invidia) la troppa televisione degli ultimi anni, ma questo nuovo progetto potrebbe finalmente far raddrizzare il naso a chi lo aveva un po’ storto di fronte a trasmissioni come Mistero o Il bivio. Per Ruggeri, che è uno a cui piace raccontare, la telecamera sembra di fatto semplicemente solo uno dei mezzi per farlo, considerata la costanza con cui ha pubblicato dischi e tenuto concerti negli ultimi tre decenni, e questo ultimo progetto è lì a dimostrare come la vena creativa sia ancora ben accesa.

Ma veniamo dunque a Frankenstein. Chi ha letto il romanzo di Mary Shelley saprà che la storia racchiude in sé vari aspetti della personalità umana, una sorta di viaggio fatto di ambizione, incontri e rifiuti. La sfida era quella di portarli in forma canzone. Una follia in tempi musicalmente rapidi, perché Frankenstein va ascoltato (e letto) senza fretta, un po’ come all’epoca dei vinili quando si risparmiava per acquistare un disco, magari dovendo rinunciare a un’altra scelta, e poi lo si consumava fino allo sfinimento dei solchi sotto la puntina. Noi che facciamo parte di quella generazione apprezziamo e ringraziamo che ci sia ancora qualcuno che ha voglia di mettersi in gioco con qualcosa di poco compatibile con le regole moderne. Il disco si compone quindi di 13 tracce, ciascuna riferita ai vari episodi del romanzo, dove il ruolo del cantante è quello di dare sostanzialmente voce ai protagonisti in prima persona e alle loro confessioni. Musicalmente niente sintesi, c’è il Ruggeri ‘falco e gabbiano’, con un tocco di vintage progressive grazie a strumenti quale il leggendario minimoog, e si percepiscono la mano di Andrea Mirò come le inconfondibili corde di Luigi Schiavone. Flautista d’eccezione Elio che si sente nell’incipit di apertura poi ripreso nel bel brano di chiusura L’infinito avrà i tuo occhi. Il tutto sposato con testi al limite del letterario che possono tranquillamente essere recitati e reggere senza accompagnamento sonoro.

Detto del disco, qualche parola anche sul racconto allegato. In sostanza si tratta di una riflessione sulla vita, le sue sfaccettature e i relativi bilanci, l’amore e la morte, dove si ritrovano tra le righe anche alcuni temi già cari e trattati in sue canzoni passate. Ruggeri – che abbiamo visto sul palco dei Magazzini Generali in grande forma ‘live’ un paio di settimana fa- è del resto un soggetto che dimostra la volontà di osservare e cercare di capire e narrare ciò che lo circonda, e se 30 anni fa cantava “non esiste gioia che la vita ti darà che potrà eguagliare ciò che ti si negherà” oggi non poteva che prendere a prestito questa frase del nobel francese François Mauriac per chiudere il viaggio di quello che lui stesso ha detto potrebbe essere il suo ultimo album: “La nostra vita vale quello che ci è costata di sforzi”.

Twitter: @paolomorati

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