Il fascino di Xi Jinping

2 Novembre 2021 di Stefano Olivari

Perché nessuno manifesta contro la Cina, in Italia e in altri paesi occidentali? Si possono trovare migliaia di persone, o comunque minoranze rumorose, disposte a scendere in piazza in favore del diritto di infettare il prossimo o per strappare alla sedia elettrica un serial killer texano, siamo arrivati a tifosi sotto l’Agenzia delle Entrate a difendere il diritto di evasione fiscale. Anche la difesa dell’ambiente ha spesso ispirato manifestazioni, con gli obbiettivi e i nemici più diversi. Eppure nessuno se l’è mai presa con il primo inquinatore mondiale, ovviamente assente al Cop26 di Glasgow, ovviamente con Xi Jinping, che non esce dalla Cina da quasi due anni, ma anche con suoi rappresentanti. Per quale ragione la Cina è esentata dall’indignazione del giornalista  e dello studente collettivo, di solito pronta ad esplodere al primo spacciatore malmenato?

Non entriamo nel merito della ripresa in grande stile della produzione di carbone o sulle misure anti-Covid, cioè un disastro da loro stessi generato, con buona pace dei debunker antitrumpiani rimasti senza un nemico globale fino al 2024. Andiamo subito sulla figura di Xi Jinping, la sui sola infanzia meriterebbe dieci serie televisive, in quanto figlio di un protagonista della Lunga Marcia poi epurato durante la Rivoluzione Culturale di Mao e con tutta la famiglia, bambini compresi, rieducata in campagna e non in un agriturismo ecosostenibile. Anche escludendo le leggende rimane un personaggio affascinante, sospeso fra il riformismo di Deng Xiaoping e l’autoritarismo che in Asia, Giappone escluso, sembra l’unica forma di governo possibile e che non fa sconti né a Jack Ma né al piccolo blogger.

Cos’è dunque che piace tanto della Cina di Xi, in un paese come il nostro dove si cita Auschwitz per contestare il Green Pass? Un amore trasversale che accomuna élite culturali, marchettari (su Cina e paesi arabi ci sono giornalisti di economia imbarazzanti, altro che Renzi) e popolo. Ma anche chi, come noi, disprezza i metodi di Xi in patria e teme il suo colonialismo soft fuori, fa fatica a percepirlo come il pericolo che in realtà è. Certo non viviamo a Taiwan, per questo in caso di invasione quasi tutti i nostri media già interventisti (solo il dio del tennis ha impedito che Djokovic e Ana Ivanovic morissero sotto le bombe di D’Alema), quelli che vedono americani e russi cattivi ovunque, avrebbero come posizione l’indimenticato ‘Morire per Danzica?’. Alla fine l’uomo forte tira sempre.

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