Il controllo di Armstrong

15 Gennaio 2013 di Stefano Olivari

Lance Armstrong ha dato al mondo quella che non solo l’Inquisizione considerava la regina delle prove. cioè la confessione. Giovedì vedremo l’intervista con Oprah Winfrey registrata ieri, ma già l’Associated Press ne ha rivelato i passaggi fondamentali. Cosa ha detto Armstrong di nuovo, rispetto a quanto testimoniato nei mesi scorsi da ex compagni, mogli di compagni (su tutti quella di Andreu) e conoscenti? Prima di tutto ha ammesso di essere dopato, senza giri di parole. Non a caso lo ha fatto poco dopo essersi scusato con il centinaio di suoi collaboratori e dipendenti in Livestrong, la fondazione con cui ha raccolto somme incredibili (sui 500 milioni di dollari in totale) per finanziare la ricerca contro il cancro. Sfumati i sette Tour de France ma soprattutto la credibilità, è chiaro che l’immagine di Armstrong sia legata in positivo soprattutto a Livestrong. In secondo luogo, stando all’AP, il campione avrebbe parlato non solo di se stesso ma fatto i nomi di personaggi collegati al doping nel ciclismo e nello sport in generale. Alcuni sospettabili e altri insospettabili. Terzo, la tempistica. Anche i più grandi antipatizzanti di Armstrong davano per scontato che la svolta farmacologica fosse avvenuta dopo l’operazione per il tumore ai testicoli, mentre il corridore texano avrebbe detto alla Winfrey che tutto sarebbe iniziato nei primi anni Novanta, ben prima della diagnosi, che risale all’ottobre del 1996. Da ricordare che fu campione del mondo nel 1993 a Oslo, fra le altre cose. Ultimo, fra i punti che riteniamo inediti: la disponibilità di Armstrong a trattare con la U.S. Postal e altri sponsor la restituzione di parte delle somme incassate in sponsorizzazioni. Tema scivolosissimo e in larga misura impostogli (molti avevano minacciato di fargli causa), che potrebbe fare giurisprudenza nel mondo per tutti i campioni e soprattutto (perché i campioni dopati muoiono, ma le squadre rimangono) le squadre condannate o con titoli tolti. Vedremo. Di sicuro l’attenuante generica è la solita: nel ciclismo senza doping non si riesce nemmeno a stare coperti nella pancia del gruppo. L’altra certezza è che in certi paesi e non solo nel ciclismo la pulizia di facciata degli eroi popolari è qualcosa da difendere ad ogni costo (si pensi alla Spagna, alla Russia, alla Cina, a molti paesi africani), mentre in altri gli idoli vengono buttati giù del piedistallo quando non servono più o escono dal loro orticello, tipo il Jonathan di Rollerball. Senza l’impegno feroce dell’agenzia antidoping statunitense, l’USADA, saremmo ancora qui a dire che Armstrong è passato indenne attraverso centinaia di test antidoping, anche a sorpresa. Non solo noi, ma anche l’UCI (la federazione ciclistica internazionale), che ha squalificato Armstrong solo dopo l’iniziativa dell’USADA. La sensazione è che siamo all’inizio di qualcosa di molto più grande della revisione degli albi d’oro, qualcosa di strutturale che metterebbe in discussione le vite di molti. Quante ore, giorni, anni della nostra esistenza abbiamo dedicato a guardare qualcosa di finto? Finto non per la disonestà di alcuni protagonisti, che in qualche modo ogni appassionato accetta, ma per scelte di controllo sociale.

Twitter @StefanoOlivari

Share this article