Il cielo in un gancio

16 Aprile 2009 di Flavio Suardi

di Flavio Suardi

Il 16 aprile del 1947 nasceva a New York Lew Ferdinand Alcindor Jr., circa sessanta centrimetri di neonato con oltre 5kg di peso. Un’altezza eccezionale che, unita al colore della pelle, costrinse il futuro Kareem Abdul-Jabbar ad un’esistenza mai normale. Diversi gli aneddoti d’infanzia: dalle maestre che lo rimproveravano perché non stava seduto nel banco, quando lui seduto lo era già, fino a chi lo toccava con l’ombrello per capire se fosse vero quello che stava vedendo. Un ragazzo altissimo, fino ad un certo punto anche estroverso e ben disposto verso i suoi coetanei. Il primo episodio che ne mutò radicalmente il carattere risale ai tempi dell’high school. A Power Memorial, durante l’intervallo di una partita, il suo coach Jack Donohue lo apostrofò dicendogli: “Non corri, non lotti, non ti muovi! Stai proprio giocando come un negro”. Quell’episodio cambiò radicalmente l’esistenza di Alcindor, che continuò a dominare sul campo e a maturare rabbia nei confronti dei bianchi al di fuori. Il passo successivo lo portò a UCLA alla corte di John Wooden: come il suo allenatore di high school anche Wooden decise di impedire ogni contatto tra il giocatore e la stampa. Quattro anni senza interviste, ma con tre titoli NCAA consecutivi e un modo di dominare talmente eclatante da indurre la NCAA a vietare le schiacciate per limitarne lo strapotere. Nel 1968 aderì al boicottaggio dei giochi di Città del Messico, rifiutando la convocazione in nazionale. Nel 1971 diede applicazione pratica ai suoi studi sulla civiltà islamica, mutando il suo nome il Kareem Abdul-Jabbar, che significa il “generoso e potente servo di Allah”. Nel 1969 venne scelto come numero uno assoluto dai Milwakee Bucks, con i quali vinse il primo titolo due anni più tardi. La sua doppia esistenza continuava: venne minacciato di morte, divorziò e alcuni suoi amici vennero trovati uccisi in una casa di sua proprietà a Washington. In una partita contro Boston venne colpito violentemente ad un occhio: per la rabbia e il dolore si fratturò una mano scagliandosi contro il supporto del canestro e da quel momento cominciò a portare gli occhiali che non avrebbe più abbandonato. Nel 1975 passa ai Lakers e in una gara contro i Bucks fu protagonista di un episodio con la nostra vecchia conoscenza Kent Benson (Cantù): reagì ad una violenta gomitata con un pugno, fratturandosi ancora la mano e rimediando una multa salatissima. Nessun provvedimento nei confronti del bianchissimo Benson…Nel frattempo, dopo essersi risposato con Cheryl Pistono da cui ebbe un figlio, Amir, la sua casa venne completamente distrutta da un incendio, che si portò via anche una collezione di rarissimi dischi jazz e tappeti persiani. Grazie ad uno sky-hook, il tiro che lo rese celebre, superò il record di punti di Chamberlain (31.419), chiudendo la sua carriera a 44.149 punti con un unico canestro da tre punti, realizzato nella stagione 1986-87. Si ritirò a 42 anni nel 1989, dopo aver vinto cinque titoli con i Lakers dello showtime, talmente grandi da non essere nemmeno bisognosi di rievocazione più precisa. Sono passati vent’anni dalla sua ultima apparizione da giocatore. Auguri, Kareem.flavio.suardi@gmail.com
(in esclusiva per Indiscreto)
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