Il cantautore Vasco Rossi

28 Gennaio 2014 di Indiscreto

Ma cosa vuoi che sia una canzone

Nel primo LP le tracce del Vasco che farà sfracelli tra qualche anno sono quasi zero: su questo punto tutti sono sempre sembrati d’accordo. La storia della pop music ci dice che non si è quasi mai grandi al primo album, spesso nemmeno al secondo o al terzo. Anche tra i cantautori. Dopo l’ondata dei padrini della canzone d’autore degli anni Sessanta, quasi tutti ispirati smaccatamente alla scuola francese, gli anni Settanta proiettano una seconda generazione marchiata a fuoco da differenze cruciali che le separano dalla prima. Nei Sessanta i vari Brel, Vian, Brassens e Ferré erano stati imitati palesemente dai nostri: dopo qualche incursione in un improbabile rock’n’roll nostrano (percorso inverso?) Luigi Tenco, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Giorgio Gaber, Piero Ciampi e persino Fabrizio De André avevano pagato un evidentissimo pegno alla école française. Testi, melodie e arrangiamenti sono ancora lì a dimostrarcelo, secondo la prassi che vuole un primo periodo d’imitazione seguito da una fase di assimilazione, per poi sfociare nell’agognato traguardo dell’innovazione. I primi cantautori avevano prodotto risultati raramente frutto di quest’ultima, restando il più delle volte ancorati alla fase dell’assimilazione. Il che non aveva impedito loro di colpire duro un immaginario collettivo quasi per natura rivolto al passato come quello italiano.

Tra le eccezioni ci sono Enzo Jannacci e Lucio Dalla: più compositori che autori di testi, come molti altri da noi. Il primo surrealista, con i suoi quadretti che negli anni passeranno dalla periferia milanese delle ‘Scarp de tennis’ al clamore di ‘Quelli che…’; il secondo eccentrico sempre ma ignorato dal grande pubblico fino alla passerella sanremese del famoso 4 marzo. A fine decade l’avvento di Lucio Battisti – il primo a guardare all’estero attraverso un’italianità non rétro – spariglia le carte e sbanca. Ma Battisti non è paroliere (per questo non è considerato un cantautore mentre altri sì, chissà perché): ecco così sparire una scomodissima pietra di paragone, singolo dopo singolo. Perché fino a fine anni Sessanta il disco è il 45 giri, degli album si parla poco: si dice ‘ellepì’, quando non addirittura – orrendamente – ‘padellone’ (fissazione italoculinaria?). I 33 giri sono raccolte di brani di tre minuti già usciti su 45, con l’imbottitura di qualche scarto rimasto nei cassetti spinto dentro a far numero. Le vendite dei singoli sono l’ossatura dell’industria discografica: i grandi successi arrivano a sfiorare anche il milione di copie mentre al di là delle eccezioni le poche migliaia di 33 giri sono relegate a jazz, classica e lirica per un pubblico di amatori. Anche all’estero: per fare qualche nome, i primi, secondi e terzi LP di Elvis prima e Beatles e Rolling Stones dopo sono raccolte di pezzi sfusi e qualche cascame, ma questi a casa loro gli album li vendono e i nostri no.

A cavallo con l’inizio dei Settanta si cambia. Volenti o nolenti i cantanti prebattistiani alla Morandi/Celentano devono cedere il passo ai gruppi. Lucio Battisti aveva guardato alla black music americana, Equipe 84 e simili del beat alla union jack della British Invasion, con il post beat che sposa i dettami del progressive rock inglese. Le suite alla Genesis, Gentle Giant e Van Der Graaf Generator piacciono tanto agli italiani e sono perfette per sfruttare il format più esteso e artistico garantito dal minutaggio del 33 giri. Il più delle volte la media dei pochi pezzi nei primi dischi di PFM, Banco Del Mutuo Soccorso, Le Orme e Area si allunga dai 6-7 minuti in su, basta con i 45 giri: la musica pop non è per caso arte? Sì che lo è, per la seconda ondata di cantautori. I quali a loro volta prendono a modello gente come Bob Dylan e Leonard Cohen: basta con Parigi e il post-esistenzialismo dei vecchi degli anni Sessanta. Al pubblico italiano il nuovo piace, tra i complessi prog da una parte e Guccini, De Gregori, Venditti, Bennato & Co. dall’altra c’è ampia scelta. E anche i cantautori sono ideali per gli LP: del resto, come fai a capire se uno è o non è un artista vero in soli tre minuti? L’album fa quindi il suo ingresso nella nostra cultura musicale. Il vecchio 45 giri si prende un sabbatico di qualche anno relegandosi per ora alla musica leggera più imbarazzante e alla roba da discoteca, che non si chiama ancora disco music. Detto questo, resta il fatto che il primo album di Vasco è quello che è, anche immergendoci nell’aria sulfurea che si respira in pieno 1978. Ma è quasi la norma, in una scena italiana in cui più di un nome che conta è partito senza razzi.

Estratto del libro ‘Alla ricerca del Vasco Perduto – Creazione di una rockstar italiana, di Glezos. Indiscreto Editore, 2013. 320 pagine, 15 euro. In vendita su Amazon.it e in libreria (al momento nelle Feltrinelli e in moltissime indipendenti).

La biografia non autorizzata del cantante più amato, scritta da Glezos per Indiscreto. Dai giorni da dj alla svolta di Albachiara, passando per l’epopea di Punto Radio, gli inizi e la strada verso il successo come chiavi per capire la musica e l’Italia degli anni Settanta, ma anche il Vasco Rossi dagli anni Ottanta ad oggi. 

 

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