Il campionato più marcio del mondo

20 Dicembre 2007 di Stefano Olivari

Moggiopoli non è mai finita, ma quello che è peggio è che può prescindere dalla persona fisica di Luciano Moggi. Anche se l’originale rimane inimitabile: la telefonata a Sonetti, per fargli capire che dietro all’Ascoli c’è lui, dopo aver detto poco prima al direttore sportivo che Sonetti in confronto a Papadopulo è nessuno, andrebbe ascoltata nelle scuole di recitazione….Oltre ai fatti specifici, quasi tutti interpretabili per gli amici e chiarissimi per i nemici, anche chi del calcio italiano pensa il peggio rimane colpito dall’atmosfera mafiosa che si respira in ogni rapporto, ad ogni livello. Un mondo autoreferenziale al massimo, dove una miniribellione te la fanno pagare anche per interposta persona.

Per questo non perderà mai d’attualità quello che dei libri di Carlo Petrini non è certo il migliore, ma di sicuro è il più giornalistico (insieme al recente ‘Calcio nei coglioni’). Ci riferiamo alla sua terza opera: dopo il successo di ‘Nel fango del dio pallone’ e de ‘Il calciatore suicidato’, Petrini (o chi per lui, sull’estensore materiale del libro non giureremmo) ha messo nero su bianco una interessante sintesi di sue esperienze personali, come nel primo libro, e di indagine-ricostruzione giornalistica, come nel secondo. Per ‘I Pallonari. Zone grigie, fondi neri e luci rosse: vent’anni di calcio all’italiana’ (Kaos edizioni, come gli altri, uscito nel 2003) l’autobiografismo ridotto al minimo, lo stile di scrittura e soprattutto la quantità di riferimenti giudiziari, giornalistici e storici, ci inducono a pensare che Petrini sia stato, nell’ipotesi più buonista, aiutato da un ‘negro’ di grande qualità e dall’ottimo archivio. Ma forse a tutti andava bene così, perchè Petrini è ormai un brand, perdonateci il termine, nella nicchia del maledettismo calcistico (nella sottonicchia ‘corruzione-sesso’, con Ezio Vendrame che presidia quella ‘poesia-autodistruzione’), e i giornalisti, specie quelli bravi, hanno già abbastanza querele per la loro attività principale. Non siamo ancora ai livelli dell’amato (una volta) James Ellroy, con il nome dell’autore gigantesco e il titolo del libro quasi invisibile, ma poco ci manca. Detto questo, assumiamo però per ipotesi che l’autore sia davvero l’ex attaccante di tante squadre di A e B degli anni Settanta, nato a Monticiano (come Luciano Moggi…) nel 1948. In fondo per qualcuno nemmeno Omero è esistito realmente, quindi si può accettare che sia riveduto e corretto anche Petrini.

E parliamo finalmente del libro, ricordando ancora una volta il suo anno d’uscita: 2003, in pieno moggismo, quando ancora per i grandi opinionisti ‘episodi pro e contro nell’arco di una stagione si compensano’. Un libro che è di alto livello, scritto in maniera chiara ma difficile da digerire per la semplice ragione che riga dopo riga ci si rende conto di aver dedicato gran parte della propria vita, anche da semplici spettatori, a uno sport finto, ancora prima che sporco o immorale. Insomma, uno sport che non è più uno sport e forse non lo è mai davvero stato. Petrini ha il merito di descrivere benissimo non il senso di impunità dei protagonisti del pallone italiano, dirigenti e calciatori, e la loro considerazione per ‘quei coglioni dei tifosi’, che permette di soddisfare senza freni la propria avidità, in tutti i sensi. Per questo ne parliamo anche a quattro anni di distanza: agghiaccianti non sono tanto gli episodi, visto che non viviamo nella valle dell’Eden, quanto i rapporti personali e l’assenza assoluta di una dimensione etica, in un mondo che occupa gran parte delle giornate anche di chi non lo vive professionalmente.

L’opera è divisa in tre parti. La prima, quella sulle zone grige, è incentrata sulla marea di partite combinate, per motivi di calciomercato, di classifica o più banalmente di scommesse clandestine, e più in generale su tutta la sporcizia che riguarda il famoso ‘campo’, con anche il doping protagonista. La costante di tutte le vicende raccontate da Petrini è che si sono concluse con un polverone e pochi pesci piccoli pescati, anche quando testimonianze e prove non mancavano. Portieri scommettitori e ricattabili dai boookmaker, partite concluse con risse per ‘non aver rispettato i patti’ (memorabile quel Genoa-Inter del 1983, con gol della vittoria nerazzurra di Salvatore Bagni a quattro minuti dalla fine, con i compagni che nemmeno lo abbracciavano), o aggiustate secondo i voleri di una ‘centrale’: situazione marcia che portò al calcioscommesse bis, nel 1986. Come se non ci fosse stato quello di sei anni prima, con un colpevole su dieci condannato e pochi mostri sbattuti in prima pagina, più stupidi e meno corrotti dei mostri veri. Mille episodi tutt’altro che segreti, che non porteranno all’autore nessuna querela: il silenzio, per chi continua ancora a navigare nel marcio, è la migliore arma di difesa. Non a caso, in un paese cultore della trash tivù e delle storie più taroccate, chi ha qualcosa di vero da raccontare, anche se come personaggio è tutt’altro che limpido (Petrini fu condannato per il calcioscommesse del 1980), e con una vita a dir poco drammatica, non viene quasi mai invitato da nessuno. Magari avrebbe qualcosa di più interessante da dire della zia di Rudy o della vicina di casa della Franzoni…Tremenda la storia del commissario Giuseppe Montana, eroe italiano, ucciso nel 1985 mentre stava indagando, fra le altre cose, anche su certi traffici di personaggi vicini al Palermo. Le zone grigie si trovano in ogni città di calcio: Milano, Roma, Napoli, con una commistione appiccicosa e atroce fra calciatori, faccendieri, dirigenti, giornalisti, gestori di locali, finti disoccupati, bookmaker clandestini, medici senza scrupoli e amici degli amici. Fatti del passato, pericolosamente simili a quelli del presente, con il doping che è cambiato solo per quanto riguarda i nomi dell sostanze.

La seconda parte, quella relativa ai fondi neri, è meno petriniana (nel senso che l’ex genoano, milanista, romanista, eccetera, dà l’impressione di considerare meno grave un reato finanziario di un risultato sportivo taroccato), ma non meno forte. Si raccontano gli albori del meccanismo delle plusvalenze, quello che ha portato il calcio di oggi al crack (con la fattiva collaborazione di proprietari e manager farabutti o incapaci), con il famoso caso Palestro, ai tempi del Moggi granata, e la consuetudine dei pagamenti in nero, a tutti i livelli. Con una particolare attenzione ai conflitti di interesse dei procuratori, arrivando ovviamente a parlare della Gea dei figli di papà, ora defunta e risorta con altre fattezze.

La terza sezione, ‘Luci Rosse’, è un po’ deludente non tanto perchè approfondisca fatti risaputi (nemmeno le altre due parti portano alla luce notizie inedite) con tono vagamente pruriginoso, come a voler stupire il lettore di bocca buona, quanto perchè manca l’aspetto cialtrone della vicenda: insomma, se non si fa male a nessuno, non capiamo dove sia il problema. Marketing editoriale, forse: il sesso tira sempre. Importante però l’accenno al tabù dell’omosessuailità del calcio, con i suoi campioni gay, in tutte le epoche, che devono sempre sposarsi l’anno prossimo.

Insomma, un libro giornalistico da leggere per chi ha la memoria corta (noi molti episodi non li ricordavamo, anche se all’epoca dei fatti eravamo già grandicelli) e ovviamente per chi non c’era, visto che certe situazioni è più facile raccontarle a vent’anni di distanza, mentre i giornali di oggi sono pieni solo di fuoriclasse immarcabili, desiderosi di rimanere a vita nel loro club attuale, e di presidenti che stanno lavorando bene per il futuro. Perlomeno fino a quando non finiscono in galera o qualche magistrato si mette in testa che un personaggio calcistico è un cittadino come gli altri. La vera domanda, alla fine della lettura e pensando all’attualità, è la seguente: perchè perdiamo tempo a seguire il calcio? Ognuno ha la sua risposta, a volte spaventosa.

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