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Cucina

Il caffè nel deserto

Dominique Antognoni 23/01/2015

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I Tafazzi sono ovunque. A livelli alti e bassi, in qualsiasi settore di attività. Se uno vuole darsi la mazzata da solo deve essere però libero di farlo: basta che i soldi siano suoi e che non si lamenti dando la colpa alla crisi, scusa buona ormai per un’infinità di situazioni. Va detto che noi e il direttore di Indiscreto conosciamo persone che sono riuscite a far fallire un bordello in pieno centro di Milano nei tempi d’oro, impresa peraltro quasi impossibile anche nel 2015, per cui di gente incompetente ne abbiamo vista ed è difficile stupirci. La storia che vi raccontiamo oggi supera però l’incompetenza ed invade il campo della follia. Come far fallire la Ferrari, forse peggio, perché uno magari non si compra più la macchina per non dare nell’occhio, ma di bere un caffè e di mangiare non si può fare a meno.

I fatti. Ricca provincia veneta, centro storico, oltre che luogo più popolato della famosa città durante il giorno. Come se fossimo in corso Vittorio Emanuele a Milano o in Piazza di Spagna a Roma. Un luogo magico, immenso, che profuma di storia. Un grande marchio, conosciuto anche da chi in quella città non ha mai messo piede. Uno ci va con tante aspettative, sperando di passare due ore piacevoli. Non sogna un piatto di Gordon Ramsay e nemmeno un’atmosfera come al Trocadero, però qualcosa di carino sì. Arriviamo verso le 12,40, già con una mezza idea di trovare i tavoli occupati, per lo meno quelli migliori. Sorpresa: il posto sembra chiuso, zero persone. Gente nemmeno al banco, come se il caffè fosse esaurito. Invece il locale è aperto, anche se non sembra. Fuori il cielo è plumbeo, pioviggina, ma dentro non si scherza: ad un funerale ci sarebbe più allegria, e non parliamo dei funerali dei ricchi, dove si va per affari o per fare conoscenze. In più all’interno fa un freddo che in Siberia a gennaio si sta meglio.

Sarà che non capiamo certi posti, che non siamo adatti, non facciamo parte del target. Allora abbiamo provato a farcelo spiegare. Arriva la responsabile pr ed eventi del famoso caffé, perché clienti mai, però pr e uffici stampa a iosa: il lavoro ha sempre stancato, sparare cazzate invece un po’ meno e per di più fa status. Nemmeno l’idraulico sogna che suo figlio faccia l’idraulico, tutti vogliono lavorare nella comunicazione. Negativa e antipatica come poche, la pr dello storico caffè indossa una sciarpa due volte il piumino del lettone, giustificata solo in parte dal gelo,, delle scarpe che nella Romania di Ceausescu chiamavamo shoshoni (quelle che si indossavano quando il fango superava il livello di guardia, non proprio le Hogan), parla male di tutti. Da prendere a sberle. Purtroppo l’Occidente ci ha imbolsiti, ai tempi (relativamente) d’oro le avremmo detto subito “cretine come te non abbiamo mai incontrate”.

Fra le tanti scusanti invocate per il locale vuoto c’è quella che il comune di questa grande città del Veneto non permetterebbe di ballare all’interno del locale. Ecco, non abbiamo mai visto gente desiderosa di ballare alle 13 in pieno centro con il tramezzino in mano o con il bollito. Ma, lo diciamo umilmente, chi siamo noi per capire certi posti? Poi il comune che vieta il ballo fa tanto Nord Corea, ammesso che sia vero, ma passi. Altro grave problema, secondo la pr: la musica non può essere alta dopo mezzanotte. Sarà, ma è la una del pomeriggio. Nel frattempo lei parla, ma nessuno si siede per mangiare. O in questa città si lavora senza fare pausa (ma nemmeno nella Cina di Mao accadeva) o il posto viene evitato nonostante il suo grande nome. Come se non bastasse, chiediamo di mangiare un piatto visto prima sul sito, ma, sorpresa: nessuno sa nulla di quel menu. “Sarà quello della precedente gestione”, filosofeggia come se se fosse una food blogger e non una dipendente del locale. Piccola nota: la vecchia gestione ha concluso le attività un anno fa. Quando si dice un sito aggiornato, d’altronde la pr serve per essere attivi sui social.

Statistica personale. Ore 13.00: persone a pranzo zero. Ore 13,30: zero. Ore 14: zero. Ore 14.30: due. Ore 15: zero. Lei però sorride, spiega e ci illustra le sue presunte vittorie. Le uniche sue iniziative ti fanno cadere le braccia. Ci racconta che verso l’ora del tramonto arrivano dei teatranti che ti leggono (in maniera soft, dice lei) la storia del luogo. Uellaaa… questo si che é marketing vincente, porta soldi a grappoli. Che bello, sorseggiare un aperitivo (ammesso ci venga qualcuno) e sentire uno che sbrodola bassa recitazione a 20 centimetri di distanza. “Abbiamo pensato ad un modo carino per far conoscere ai cittadini la storia del loro locale più significativo, gran parte di loro non la conosce”, dice dotta. Poi certo, uno non si interessa alla storica caffetteria per 40 anni e poi vuole sapere d’un tratto la storia del signor Giuseppino che aprì il locale in omaggio al suo trisnonno Ernesto, mentre brinda con l’amante ad una serata favolosa. Magari mentre l’imprenditore veneto ‘che lavora fino a tardi’ allunga la mano sulla coscia della neo-amica Irina appare il teatrante raccontando del conte Ugo, che due secoli fa regalò al trisnonno un arazzo adesso appeso su un muro del locale.

Finalmente la pr se ne va e ci lascia soli a mangiare. Due persone in 400 metri quadri, in un posto elegantissimo, fa un po’ impressione. Ma tanto lo stipendio (il suo) corre lo stesso, per tutto il resto diamo la colpa al mondo intero.

Da una famosa città del Veneto Dominique Antognoni, in esclusiva per Indiscreto 

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