Basket
Il budget di Faina
Stefano Olivari 21/02/2012
di Stefano Olivari
Siamo un po’ fissati, su tante cose. Così guardando Torino-Castelletto Ticino di DNA più che il livello del gioco (molto buono, nonostante il divario in classifica, con varietà e aggiustamenti che nelle serie superiori non si vedono per evidenti ragioni organizzative) e le due ere geologiche diverse di provenienza degli allenatori abbiamo notato il vuoto quasi assoluto del PalaRuffini (proprio quello dei tempi della Berloni, anche se l’attuale società non discende dalla gloriosa Auxilium) a un solo giorno di distanza dei settemila e passa spettatori, senza una squadra torinese in campo, per la Coppa Italia giocata al PalaOlimpico.
Più che inerpicarsi in discorsi su bilanci e fair play finanziario, impossibili in ambienti in cui sui bilanci non risulta tutto, ci chiediamo sempre il perché un imprenditore vero dovrebbe mettere centinaia di migliaia di euro in una squadra che non interessa ad alcuno. Non può essere la passione pura per il basket, in tal caso si metterebbero quei soldi nell’attività di base. Non può essere la vanità personale: quanti torinesi, anche appassionati di sport, conoscono il nome di qualche giocatore della ‘loro’ squadra? Insomma, il vero tsunami per gli sport che si reggono solamente su iniezioni di denaro esterne non è ancora arrivato. Morto o moribondo un certo tipo di imprenditoria legata al territorio, indotta a finanziare lo sport da pressioni politiche e convenienza fiscale, difficile che il ristoratore cinese o la multinazionale mordi e fuggi abbiano voglia di investire su Masper e Cotani (per citare i più forti in campo). Poi nel deserto c’è stata anche buona pallacanestro, che non ci ha fatto capire come mai Castelletto sia ultima in classifica nella divisione Nord-Ovest (sesta su sei: la DNA, terzo gradino del nostro basket, è articolata in quattro gironi), guidata senza overcoaching da due tecnici che in passato ci hanno regalato tante emozioni: sulla panchina di Torino Pippo Faina, l’uomo che ha allenato l’Olimpia Milano tardo-bogoncelliana (nella società è poi tornato due volte) e con pochi soldi fra l’era Rubini e l’era Peterson (ovvero, che sfiga), sull’altra l’ex azzurro Sandro De Pol che a 40 anni sembra più giovane di molti suoi giocatori. Mille storie, fra le mille il fatto che De Pol abbia iniziato la carriera di allenatore come vice di Faina a Verona, con un bel prodotto. Che costa, perchè fra budget tipo, settore giovanile e spese generali stiamo bassi parlando di di 7 o 800mila euro l’anno. Ma che purtroppo interessa a quasi nessuno.
Twitter @StefanoOlivari



