Il braccio di Gamba

20 Dicembre 2021 di Oscar Eleni

Oscar Eleni nelle stanze segrete trovate dentro le piramidi egiziane di Al Gizah per scoprire l’amore della leonessa che accudisce il cucciolo di cervo, per domandare allo scarabeo imperiale perché in un paese con poche piscine si nuoti e si programmi così bene. Sulle traiettorie magiche della Goggia ci si allarma soltanto perché l’Olimpiade è ancora lontana e si ha paura che lei e la Valanga Rosa finiscano in qualche copertina, ubriacate dagli stessi che prima neppure sapevano in quali disagi si doveva fare atletica e poi sono convinti di aver aiutato un grande velocista come Jacobs mostrando suoi muscoli avvolti nel tricolore su una rivista che si presenta come fiera delle vanità. Temiamo l’entusiasmo fasullo delle federazioni che hanno avuto la fortuna di trovare talenti, ma non sanno ancora il perché di questa buona sorte.

Un po’ come il cinema inferno del VAR che nel calcio manda anche più nei matti del mercato continuo dove i finti ingenui hanno scoperto che nella grande crisi pandemica gli unici a guadagnare tanto, come le case farmaceutiche, sono gli agenti. A Giza i gatti sacri ridono pensando alla figuraccia dei sorteggi affidati a macchine infedeli, miagolano sapendo che c’è stata festa alla federbasket per gli scudetti sui videogiochi che nascondono la discesa al nono posto mondiale di una Nazionale odiata da troppi se il cittì Sacchetti deve camminare vicino ai muri per evitare altre pugnalate, nella speranza che nella bellissima serata organizzata dall’Armani per celebrare Sandro Gamba abbia trovato conforto proprio nell’uomo che, senza badare al suo borbottio contro i poteri oscuri, lo ha portato nella dimensione internazionale che meritava, medaglia olimpica, oro europeo e altre medaglie che contano per sempre.

Gamba che ha staccato il braccio quando Meneghin ha provato a sorreggerlo, orgoglio di Spartacus, divertimento per Dino che conosce il suo la fierezza di un quasi novantenne a cui già giravano i santissimi per dover girare col bastone. C’erano quasi tutti ad abbracciare il sciur Gamba che non è stato flessibile come una putrella, il suo mantra per giocatori noiosi, quando Armani lo ha quasi stritolato in una sfida fra grandi che non devono convincersi se c’è da fare a schiaffi con ignoranza e il tempo. I capitani Brunamonti, Ferracini, il Bonamico graffiante, il Sandro Galleani che con le sue mani magiche metteva in piedi anche gente che sembrava dovesse andare all’ospedale.

Commozione vera, peccato che in campo non ci fosse un’Armani in grado di contrastare i vecchi e amati nemici del Real che nel loro campionato hanno vinto ancora mentre il Barcellona si è dovuto fermare per sospetto Covid, lo stesso maledetto dubbio che ha fatto saltare il pranzo natalizio con Messina e Stavropoulos a cui, dopo la prima sconfitta in campionato, con l’infermeria piena, non avremmo comunque chiesto i motivi  di certe scelte. Dopo Trieste la gioiosa che si è presa lo scalpo più ambito ora saranno meno quelli che, pur di tormentare Ettorre, si domandano il perché di certe scelte. Al pala Rubini si è visto cosa manca a questo brigantino per sfidare altre corazzate, senza per questo voler mettere alla sbarra il Biligha o il Tarczewski, evitando di mortificare Ricci per uno zero scarabocchio dopo tante partite di qualità, senza insistere nella domanda retorica sull’utilità di Grant o del Daniels che ancora si perde in percentuali sotto il 50% al tiro, sulle carenze di Bentil.

Niente, meglio stare lontani, la stessa cosa che pensano alla Virtus dopo aver trovato un derby nato bene, ma che stava per finire in vacca se Antimo Martino non avesse visto sbagliare da Groselle e altri  tiri non soltanto liberi quando Teodosic si è rimesso il mantello da mago e dopo 10 tiri da tre mancati ha trovato polvere dorata sui polpastrelli.

Certo sarà una settimana natalizia senza voglia di feste mentre le avversarie, che giocano la metà delle partite rispetto alle due regine insidiate da troppi infortuni gravi, ripetono quello che denuncia l’ottusità delle gestioni e della conduzione dirigenziale, sogghignando sul fatto che i tanti tesserati garantiscono comunque un viaggio sicuro almeno nel campionato. Tutte bugie, vero che la differenza di possibilità economiche, dai 30 milioni delle signore in cachemire ai 3, 4 delle loro avversarie, sbilancia tutto, ma allora perché non fare altri progetti tecnici? Cercare di valorizzare i vivai come consiglia Scola a Varese, lavorare tanto in palestra, fare fatica per pensare e non soltanto per dare fiato a chi combatte contro i mulini a vento dell’eurolega, a chi è convinto che le coppette facciano bene: certo che aiutano a migliorare, ma proprio per questo le squadre avrebbero dovuto essere fatte in maniera diversa.

Avanti con i tamponi che dopo ogni festa di classe, ogni pizza in gruppo, mandano in quarantena tanta gente, convinti che i rinvii NBA e nel calcio europeo, un mondo antico dove spacciatori e picchiatori non si vaccinano mai, presto fermeranno anche la baracca in Italia dove, sicuramente, penseranno ai guai del calcio fottendosene di tutto il resto, tanto poi ci sono quelli che anche con poche lire fanno davvero credere che questo  sia un paese sportivamente avanzato. Pagelle al nero di seppia nella speranza che gente come Governa, ex gregarione di Peterson, ora al timone della gloriosa Social Osa, possa essere imitata e aiutata.

10 Al CAPO DEGLI ARBITRI, non certo per la qualità del personale che va sul campo, ma per aver fatto dirigere il 112° derby di Bologna dal Lanzarini nato sotto la Garisenda nella grande tradizione non soltanto di Collina e Rizzoli. Una scelta giusta che ci riporta ai tempi i cui erano grandi arbitri lombardi a dirigere le finali scudetto fra Milano e Varese.

9 A Lele MOLIN terzo in classifica con Trento che usa la coppa per far crescere i suoi giocatori, persino quelli italiani. Diciamo che in quel nido hanno testa, idee, passione, competenza.

8 Per Osvaldas Olisevicius, il lituano che con un tiro da tre sulla sirena  ha messo la Reggio Emilia di Caja in pole per andare alle finali di Coppa Italia.

7 A CIANI e ai suoi pirati di Trieste per essersi tolti di dosso il piombo fuso dell’ultima trasferta a Bologna con la Effe, per aver fermato il Messina express diventato accelerato dopo 12 giornate per troppi guasti.

6 A PESARO, TREVISO, FORTITUDO se dovessero deprimersi dopo sconfitte che non dovrebbero fermare i progressi che ora si vedono bene sul campo.

5 A SASSARI, 8 per il successo, e VARESE, 6 per aver fatto quasi 100 punti senza Gentile, se dovessero illudersi di aver fatto spettacolo. Per le loro difese del doman non vi è certezza.

4 A BRINDISI che ha deciso di mandare il povero Vitucci al manicomio dopo aver rimesso in partita troppe volte una Treviso senza Akele.

3 A GALBIATI che fa bene a prendersi tutte le colpe per questa crisi di Cremona, ma dopo essersi messo il saio cerchi anche una frusta o un posto di lavoro in ferramenta da Vanoli per qualche suo giocatore.

2 Al Mike JAMES che è riuscito a far cacciare l’allentore Mitrovic, ma che dopo la partita della vendetta per salutare il ritorno dell’Obradovic minore è tornato ad essere quello che Milano e CSKA non hanno più voluto e che la NBA ha lasciato andare senza rimpianti.

1 A PETRUCCI, facendogli cari auguri, perché sul polverone Sacchetti alzato proprio da lui non ha sentito il dovere di chiarire come ha fatto  Messina il giorno dopo.

0 Ad ARMANI e VIRTUS SEGAFREDO se nella diretta Rai di Santo Stefano non convinceranno  i telespettatori che il loro basket, le loro squadre, anche azzoppate da troppi infortuni, sono i magi di Santo Stefano per uno sport che ha bisogno di affetto e di palazzi dove si scivola meno, dove i cronometri funzionano davvero e il VAR non allunga di mezz’ora ogni partita.

Share this article