Caterina Valente oltre Bongo Cha Cha Cha

17 Agosto 2021 di Stefano Olivari

Uno dei tormentoni dell’estate 2021, oltre a quello solito (“Non ci sono più i tormentoni di una volta“), è senza dubbio Bongo Cha Cha Cha, canzone del 1959 a cui i Goodboys, due dj inglesi, hanno dato una nuova vita musicale grazie anche al contributo di TokTok e dei balletti postati da personaggi famosi: noi personalmente ce ne siamo accorti grazie all’account Instagram di Federica Pellegrini. Un pretesto per ricordare un’interprete come Caterina Valente, seguitissima dai nostri genitori ma da conoscere perché si tratta di una degli artisti italiani di maggior successo del mondo. Ovviamente ai suoi tempi, visto che oggi ha 90 anni.

Artista italiana in quanto figlia di musicisti italiani (di successo soprattutto la madre), ma con una carriera particolarissima nata a Parigi e sviluppatasi in Germania, Stati Uniti e anche Italia, anche se non sappiamo quanti la saprebbero riconoscere nel mare del Techetecheté. Al di là degli aspetti musicali, visto che fu la prima interprete europea di successo con musica di ispirazione sudamericana, dalla bossa nova al samba fino appunto al cha cha cha, e dei milioni di dischi venduti, la particolarità di Caterina Valente era quella di sembrare tedesca in Germania (è considerata una delle icone del miracolo economico tedesco), francese in Francia (Gilbert Becaud in pratica un suo amico di infanzia), statunitense negli Stati Uniti dove fra gli altri fu lanciata da Dean Martin, ed infatti in ognuno di questi paesi è conosciutissima appena al di fuori dal recinto dell’ignoranza.

Il fatto che abbia duettato praticamente con tutti, da Louis Armstrong ad Ella Fitzgerald, ci ha sempre colpito meno della sua capacità di essere credibile per pubblici di cultura diversa. Di grande classe e al momento giusto la sua uscita di scena, facilitata dalle cifre stratosferiche guadagnate ovunque. Bongo Cha Cha Cha è poi una canzoncina, rispetto a suoi successi come Personalità e l’ammorbante Till, senza contare le centinaia di quelle che oggi definiremmo cover ma che all’epoca non lo erano, visto che il cantautorato era una rarità e vigeva la divisione del lavoro. Come al solito cadiamo in depressione quando vediamo che tanti riferimenti sono incomprensibili ai più, anche con il doping di Wikipedia. È la vita? Sì, ma che brutta.

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