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iCompromesso
Stefano Olivari 28/01/2010
Moderata delusione per la nuova creatura Apple, che magari però salverà quello che rimane dell’editoria sportiva…
Come nei peggiori matrimoni, il compromesso. Ieri sera guardando la diretta della presentazione dell’iPad siamo rimasti colpiti non solo dalla genialità di marketing di Steve Jobs (che evitava i tecnicismi ed in ogni frase riusciva ad infilare, martellante, la parola ‘simple’: convincendo gli scettici e dando ragione a chi ritiene che i prodotti Apple siano per ricchi analfabeti informatici, cioè il target che commercialmente conta) e da una identificazione con l’azienda che si può riscontrare solo con gli stilisti, ma anche dalla sostanziale inutilità di questo nuovo gadget. Che rivoluzionerà le nostre vite, come si sono affrettati a spiegare con largo anticipo (copiare da una cartella stampa è facile, tanto vale farlo per tempo) massmediologi juke box e giornali che anelano alla pubblicità Apple, senza però cambiare o addirittura creare un mercato come è stato ad esempio con l’iPod e la musica. L’iPad è di tutto un po’, ma pur essendo considerabile un ‘tablet’ ha una tendenza computeristica (è un Mac più leggero, in sostanza, nemmeno noi che siamo cresciuti con Ping-o-Tronic e Commodore 64 ci emozioniamo per il discorso ‘touch’) che dal punto di vista della lettura pura non lo fa preferire al Kindle di Amazon: design bulgaro, il Kindle, ma una focalizzazione sul giornale-libro che lo fa percepire come diverso (oltre che più facile sotto l’aspetto connessione). L’iPad sarà quindi un successo commerciale, dal momento che non trascura il mondo dei videogiochi, ma chi non leggeva su carta non è che si metterà improvvisamente a leggere su uno schermino portatile rigido. Magari, per mere ragioni distributive, i lettori passeranno dalla carta ai nuovi supporti, e gli editori con un marchio forte riusciranno a trovare uno sbocco. Però il cuore non ci si è scaldato, Jobs se ne farà una ragione. Venendo all’editoria sportiva, iPad, Kindle e imitatori sembrano adattissimi non a ricreare il piacere della lettura o proporre informazione flash (basta il telefono), ma a salvare giornali di nicchia ed ultranicchia. Le riviste specializzate in un singolo sport, moribonde o morte in edicola, potrebbero trovare una nuova vita. Nel calcio potrebbero nascere tanti Tuttosport, fatti con ancora meno giornalisti e dedicati a singole squadre o singoli temi (calciomercato, economia, storia, retroscena): il futuro sembra pieno di opportunità, per chi abbia voglia di leggere o scrivere qualcosa di interessante. Poi il lamento è più vicino alla cultura del giornalista italiano medio, ma la gente delle sue interviste a capitan ‘ci aspettano dieci finali’ e dei temini sullo sport che non è più quello di una volta (autodenuncia) non sa cosa farsene.
stefano@indiscreto.it