I tempi supplementari di Moratti e Berlusconi

9 Aprile 2015 di Stefano Olivari

Inter e Milan non si sono ancora liberate di Massimo Moratti e Silvio Berlusconi e non è nemmeno detto che questi scenari si materializzino in tempi brevi. La loro presenza sulla ribalta con le sbiadite copie di se stessi, per motivi di età e finanziari, di fatto impedisce ai club milanesi di voltare pagina ma stando ai sondaggi la maggioranza dei tifosi delle due squadre continua a sentirsi più garantita dalla loro presenza che da quella di miliardari asiatici dai disegni imperscrutabili (ricavare utili da una società di calcio italiana costretta a vincere è quasi impossibile) e, diciamolo, da quell’immagine da oculati imprenditori che in Italia funziona poco perché si pensa (spesso con ragione) che ci sia sempre un secondo fine.

Ieri a Milano non si è parlato che del possibile ritorno del 70enne Moratti sulla scena interista, da cui per la verità non era mai uscito (dal novembre del 2013 ha poco meno del 30% delle azioni), notizia che da quando Erick Thohir è diventato presidente aleggia su tutte le redazioni, lanciata con grande evidenza dalla “Gazzetta dello Sport”. Giornale ritenuto uno degli organi ufficiali del morattismo mediatico, che come minimo ha ritenuto cambiato l’atteggiamento del vecchio patron nei confronti di Thohir e di un’Inter che nonostante l’arrivo di Mancini e il discreto calciomercato di gennaio (arrivi di Shaqiri, Podolski, Santon e Brozovic, poi anche di Felipe) ha ottenuto risultati peggiori rispetto all’era Mazzarri pur mostrando un gioco più propositivo.

La realtà è che l’anno prossimo non ci sarà nemmeno l’Europa League e quindi al di là dei mancati incassi dall’UEFA non migliorerà nemmeno quell’immagine internazionale che è per Thohir una necessità commerciale dichiarata. Il gigantesco non detto di tutta la vicenda è che fra le diverse offerte che aveva in mano Moratti a suo tempo scelse quella di Thohir proprio perché l’approccio finanziario e manageriale dell’imprenditore indonesiano gli garantiva di poter rientrare in possesso dell’Inter un domani, una volta risolti i problemi finanziari (non che gli manchi da mangiare, ma è dal 2009 che l’azienda di famiglia, la Saras, non distribuisce dividendi), pagando a Thohir un giusto prezzo per il disturbo.

La spiegazione di tutto sta in una cifra: 75 milioni di euro. Cioè l’entità dell’aumento di capitale sottoscritto da Thohir e soci, che in pratica è quanto gli è costata l’Inter visto che a garanzia dei debiti sono stati posti beni e incassi futuri dell’Inter stessa, per tacere di altri colpi di classe (tipo prestare soldi all’Inter stessa ad un tasso dell’8%). Insomma, nonostante la crisi l’Italia è ancora piena di gente pronta a mettere sul piatto 75 milioni per guadagnarsi quella visibilità mediatica che soltanto il calcio può dare.

Fra questi c’era l’ex presidente nerazzurro Ernesto Pellegrini, che nel 1995 aveva ceduto la società proprio a Moratti: la proposta di rilevare la società insieme a una cordata di imprenditori milanesi, per non lasciarla in mano allo “straniero” (tema ricorrente anche nel calcio svizzero), lasciando addirittura la leadership allo stesso Moratti, era stata accolta con molta freddezza.

A 18 mesi di distanza le cose sono cambiate e gli sforzi di Pellegrini potrebbero unirsi alla nuova strategia di Moratti, che non sarebbe in alcun caso il Moratti di una volta, cioè quello che ripianava deficit annuali da 70 milioni di euro ogni volta. Queste intenzioni sono state smentite dagli interessati (che però singolarmente continuano a pensarci), ma è certo che Thohir non può permettersi la navigazione a vista per più di un altro anno, dal momento che questo esercizio si chiuderà con un “rosso” di circa 50 milioni (metà rispetto all’anno scorso, ma comunque insostenibile). Nelle sue fantasie più sfrenate, in qualche modo avallate anche da Mancini, gli acquisti di gennaio avrebbero potuto far tornare l’Inter in corsa per la qualificazione alla Champions League, che in Italia passa come minimo dal terzo posto in campionato, per andare al playoff…

Situazione opposta al Milan, dove l’italiano vorrebbe in teoria vendere. Berlusconi da mesi sta tentando di alzare il prezzo del club incontrando imprenditori asiatici, permettendo loro di analizzare i conti del club e ispirando (sempre con la pseudo-smentita a chiudere provvisoriamente il caso) articoli che tracciano grandi scenari intorno a quella che di base è una questione di prezzo. Il discorso andrebbe ampliato, per arrivare alla volontà del 79enne Berlusconi di liberarsi di aziende che non distribuiscono utili (quindi il Milan, ma anche la stessa Mediaset) per avere le mani libere e giocarsi senza condizionamenti le ultime partite politiche della sua vita, magari lasciando al suo destino anche una Forza Italia ai minimi storici di consenso e divisa in troppe fazioni.

Restringendo il discorso al Milan, rilevato 29 anni fa sull’orlo del fallimento (così gli piace ricordare, in realtà l’allora presidente Farina avrebbe potuto risanare i conti vendendo qualche giocatore) e portato ai vertici europei e mondiali, viene fatto scrivere che la valutazione sarebbe di un miliardo e mezzo di euro e nessuno si chiede perché mai una squadra con una rosa da metà classifica e fuori dall’Europa debba valere il doppio del Real Madrid. La realtà è che per una cifra di poco superiore a 500 milioni veri, maledetti e subito, l’era Berlusconi si chiuderebbe anche domani mattina.

Qui però siamo su un altro piano rispetto ai 75 milioni di Thohir (che nemmeno sono andati a Moratti, ma sono confluiti nel capitale sociale), quindi gli italiani papabili sono decisamente meno: Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria e del Sassuolo oltre che milanista appassionato, non ha l’età e il tempo per imbarcarsi in un’impresa simile, anche se per molti versi sarebbe la soluzione più gradita a Berlusconi come quattro o cinque anni fa lo sarebbe stato Paolo Ligresti (per la giustizia italiana latitante a Lugano e diventato cittadino svizzero proprio al momento giusto…). Da qui questa passione per l’Asia, con l’amministratore delegato dimezzato Adriano Galliani a presentare questo e quello. Mentre l’amministratrice delegata (anche lei per forza di cose dimezzata) Barbara Berlusconi sembra più interessata ad un’azienda come il Milan, per una questione di status rispetto ai fratelli, che ai soldi.

Facendo una selezione dei mille nomi, quelli concreti sono soltanto due: l’imprenditore di Hong Kong Richard Lee e il thailandese Bee Taechaubol. Rispetto ai presunti concorrenti e anche alla stessa Wanda (la holding cinese che ha acquistato Infront, cioè il colosso svizzero leader nel mercato dei diritti televisivi mondiali, presieduto dal nipote di Blatter, Philippe, che fra le mille cose è advisor anche della serie A) Lee e Taechaubol hanno qualcosa in più: sono gli unici ad avere realmente incontrato Berlusconi, non in segreto ma nella villa di Arcore, e giocano sia in proprio che con capitali di altri. Non hanno insomma problemi nel reperire i soldi.

Ad accomunare Inter e Milan c’è la sensazione di provvisorietà, figlia di un “nuovo calcio” che usa le stesse logiche del vecchio. La differenza è che i soldi arrivano dall’estero, così come molti dirigenti. Ed essendo il calcio una metafora di tutto, non è che i tifosi italiani di Inter e Milan stiano facendo i salti di gioia, visto che lo “straniero” non promette di portargli Messi e CR7 ma soltanto magheggi finanziari. Certo è che queste evoluzioni di Moratti e Berlusconi condizionano in maniera pesante la ricostruzione di squadre che per valore della rosa si stanno avvicinando a una dimensione provinciale. Con quale forza Mancini, che comunque ha ricostruito il suo rapporto con Moratti, chiederà rinforzi a Thohir? Con quale criterio si sceglierà il sostituto di Inzaghi? Nessuno al momento lo sa.

(pubblicato sul Giornale del Popolo di giovedì 9 aprile 2015)

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