I sedici anni di Quinzi

6 Luglio 2012 di Stefano Olivari

Pellegrinaggio a Wimbledon in giornata, miracoli di Easy Jet e della passione per uno sport bellissimo e crudele, dove ognuno è padrone del suo destino e dove l’arbitro, almeno nei campi coperti dal ‘falco’, è poco più di un segnapunti. Malpensa Due, Gatwick, Victoria Station, Southfields e dopo un’occhiata a Luke Saville, miglior junior del mondo che sembra una brutta copia di Lleyton Hewitt, eccoci alle undici e trenta sul campo due davanti ai quarti di finale del doppio femminile. Errani e Vinci sono favorite contro Hradecka e Hlavackova, ma la giocatrice tarantina serve peggio del solito e fa fatica a chiudere tutte le volée alte. Le ceche attuano una tattica incomprensibile, battezzando la Errani che invece è molto in palla (quella massacrata dalla Shvedova in singolare, con l’imbarazzante 24 punti a 0 del primo set, era una cugina) e che tiene relativamente a galla le azzurre (teste di serie numero 2), che perdono quei pochi punti che possono far girare le partite a tornano a casa sconfitte 6-3 6-4. Bello comunque osservare da vicino un’amicizia che non esiste solo nelle interviste ma che si manifesta concretamente quando una delle due (nel caso la Vinci) sta giocando male, attraverso incoraggiamenti continui. Fuga immediata verso il campo 14, per la grande speranza italiana Gianluigi Quinzi, che da sotto età (ha 16 anni, 2 meno del limite di partecipazione) è impegnata contro l’australiano Kyrgios sotto gli occhi molto attenti di Nicola Pietrangeli. Quinzi magari fra cinque anni gestirà un chiringuito e odierà il tennis, ma ogni volta che lo vediamo (sarà la decima, Bonfiglio compreso) aggiunge qualcosa al suo gioco. Più angoli, più profondità, più continuità nel servizio, ma soprattutto una caratteristica da possibile campione: la difesa attiva, cioè la capacità di ribaltare l’iniziativa del gioco quando è in difficoltà senza limitarsi a fare il tergicristallo. Altro aspetto che di lui ci piace molto: è un sedicenne che sembra davvero un sedicenne, non è uno che batte i coetanei perché è diventato ‘uomo’ prima. Quindi i margini di miglioramento ci sono. Cosa non ci piace, invece: una certa tendenza all’antisportività (chiamarsi gli ‘out’ da solo, esultare sugli errori dell’avversari, cose del genere) e una frenesia nella gestualità e nel gioco, da Agassi prima maniera (in comune con il marito di Steffi Graf ha in comune anche la scuola Bollettieri), che lo porta ad andare fuori giri quando la partita propone temi tattici diversi dal pim pum pam. Comunque un possibile campione, da Panatta-Barazzutti ai giorni nostri abbiamo avuto tante stelle a livello juniores, da Pistolesi a Gaudenzi passando per Nargiso e tanti altri, ma nessuna  a 16 anni con questo potenziale. Il che non significa che diventerà Djokovic, ma solo che può almeno sognarlo. Poi varie ed eventuali, dedicando solo uno sguardo ai campioni del passato impegnati nei vari invitational: Ivanisevic, Krajicek, Navratilova, Novotna, eccetera. Però quando una cosa ti piace nel presente non hai bisogno di mitizzare il passato, pur rispettandolo e avendolo vissuto ai suoi tempi come presente. E dopo una valanga di acquisti insensati, abbondantemente sopra le 95 sterline pagate per il biglietto, via verso Williams-Azarenka, un videogioco di partita dove solo una Serena al 100% mentale e tecnico è riuscita ad impedire che il match girasse contro una bielorussa che ci ha giustamente creduto. Il servizio, che fra gli uomini fa meno la differenza di una volta complice l’erba tagliata più corta che fa diminuire il numero dei rimbalzi bassi, fra le donne è un fattore sempre più importante. Solo che Williams e Azarenka ce l’hanno quasi allo stesso livello, quindi essendo pari anche il gioco in progressione la differenza è stata fatta dai dettagli. Che ancora una volta hanno premiato una campionessa sulla piazza dalla fine degli anni Novanta, alla fine impazzita di gioia come poche altre volte. Aereo preso all’ultimo secondo utile e ritorno a casa, con la solita certezza che ne sia valsa la pena. Non tanto per le partite, si tratta dello stesso sport che guardiamo ogni giorno in televisione, quanto per l’aria pulita che si respira a bordocampo e il piacere di trovarsi esattamente nel posto dove in quel momento vorresti essere.

Stefano Olivari, 6 luglio 2012

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