I ragazzi della Terza C, la mano di Claudio Risi

27 Aprile 2020 di Stefano Olivari

I ragazzi della Terza C è stato il telefilm manifesto degli anni Ottanta italiani e gran parte del merito è stato di Claudio Risi, da poco scomparso. Che grazie a questo prodotto onestamente commerciale di Italia 1 è entrato nella storia del costume del nostro paese almeno quanto il padre Dino, regista ovviamente di altra cilindrata ma con lo stessa cinica ironia applicata alla commedia.

Non stiamo dicendo che Gassman e Trintignant fossero la stessa cosa di Bracconeri e Sharon Gusberti, ma la capacità di cogliere lo spirito del tempo da parte di regista e sceneggiatori (il soggetto era dei Vanzina, uno degli scrittori era Moccia) è la stessa. Ed è per questo che I Ragazzi della Terza C è così datato da essere ancora molto divertente, al contrario di molti prodotti televisivi medi degli anni Ottanta: avete mai provato a guardare una vecchia puntata di Drive In?

Questo telefilm ha tanti fan club e infinite pagine web dedicate, quindi Claudio Risi si è guadagnato il biglietto per la vita eterna senza bisogno del nostro ricordo e del nostro ringraziamento. Ancora oggi rimaniamo colpiti dalla scorrettezza politica di molte battute, anche per i canoni dell’epoca, oltre che di molti personaggi: inimmaginabili nel 2020 un Camillo Zampetti (Guido Nicheli), un Aziz (Isaac George), un professore sadico (Antonio Allocca), mentre alla prima presa in giro di Elias e Tisini ci sarebbe una rivolta di piazza di donne contro Mediaset.

A dirla tutta, Risi in un prodotto leggero come I Ragazzi della Terza C riusciva a rappresentare con acutezza le tante piccole crudeltà della vita adolescenziale, senza complicità generazionale (all’epoca aveva 40 anni) né un qualsiasi tipo di morale. Indimenticabile poi il product placement, qui arrivato a vette incredibili.

Una sfilata di marchi mostrati in maniera più che sfacciata, tipo il Punt & Mes dei grandi maestri della commedia all’italiana: molti arrivati ai giorni nostri, ma alcuni scomparsi o dimenticati. Fra questi il podio va al Raider, che in Italia conoscevamo con questo nome prima che nei Novanta prendesse la denominazione originale di Twix, alla One o One che la San Pellegrino lanciò come rivale della Coca Cola ma che in realtà era un cattivo chinotto, alle Big Babol che probabilmente ancora oggi sono rimaste attaccate sotto i banchi. Per trasformare un poesia una realtà ordinaria ci vuole una buona mano e Claudio Risi ce l’aveva.

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