I ragazzi della Squibb Cantù

Quarant’anni fa, il 25 marzo del 1982, la Squibb Cantù allenata da Valerio Bianchini vinceva la Coppa dei Campioni battendo nella finale di Colonia il Maccabi Tel Aviv campione in carica con una grandissima prova di Marzorati e Kupec. Il punto più alto, insieme al bis dell’anno dopo a Grenoble con il Billy Milano, della grande storia europea del club, ma soprattutto la sintesi di una pallacanestro che pigramente definiamo irripetibile ma che in realtà sarebbe attualissima, per smarcarsi da quella NBA per sfigati che è diventato tutto il basket di club non soltanto in Italia.

Sì, perché quella Cantù aveva 7 giocatori, sui 10 a referto (e già i 10 a referto ci raccontano di un mondo meraviglioso), cresciuti nel vivaio: Marzorati, Riva, Innocentin, Cattini, Bargna, Bosa e Cappelletti. Più l’anziano Bariviera, che era al suo quarto anno nel club,  Flowers che era al suo terzo, e Kupec. Va detto che una situazione del genere era, ad alto livello, molto particolare anche per quei tempi in cui gli stranieri erano due, il mercato durante la stagione non esisteva, eccetera. Ma oggi non la si vede nemmeno in A2, dove le regole e le logiche sono simili a quelle, a partire dagli italiani specie protetta.

Cosa vogliamo dire? Che senza identità, chiamiamola anche continuità (lo stesso gruppo di giocatori per almeno tre anni, senza esagerare e senza nemmeno guardare al passaporto), la pallacanestro di club che sta fra la NBA e le minors dove giocano o allenano i nostri amici ha pochissimo senso di esistere e nessun motivo di essere guardata. Americani di serie C e gregari europei che vanno da un canestro all’altro, ma che non ci rappresentano più niente. Non per colpa loro, anzi pensiamo che i giocatori di oggi siano nella media più forti di quelli degli anni Ottanta, ma per un’organizzazione demenziale. Se lo sport viene organizzato come uno spettacolo alla fine si trovano sempre spettacoli più divertenti.

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Forty years ago, on 25 March 1982, the Squibb Cantù coached by Valerio Bianchini won the Champions Cup beating in the final in Cologne the defending champion Maccabi Tel Aviv with a great performance of Marzorati and Kupec. The highest point, together with the encore of the following year in Grenoble with Billy Milano, of the great European history of the club, but above all the synthesis of a basketball that we lazily define as unrepeatable but that in reality would be very topical, to get away from that NBA for losers that has become all club basketball, not only in Italy.

Yes, because that Cantù had 7 players, out of the 10 on the scoreboard (and the 10 on the scoreboard already tell us about a wonderful world), grown in the nursery: Marzorati, Riva, Innocentin, Cattini, Bargna, Bosa and Cappelletti. Plus the elder Bariviera, who was in his fourth year at the club, Flowers who was in his third, and Kupec. It must be said that such a situation was, at a high level, very unusual even for those times when there were two foreigners, the market during the season did not exist, etc.. But today you don’t even see it in A2, where the rules and logics are similar to those, starting with the Italians as protected species.

What do we want to say? That without identity, let’s call it continuity (the same group of players for at least three years, without exaggerating and without even looking at the passport), the club basketball that lies between the NBA and the minors where our friends play or coach has very little sense of existence and no reason to be watched. Americans and European wingmen who go from one basket to another, but who no longer represent anything. This is not their fault – on the contrary, we think that today’s players are, on average, stronger than those of the 1980s – but because of a demented organisation. If sport is organised as a show, in the end you always find more entertaining shows.

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