I minuti di Alison Moyet

4 Giugno 2013 di Paolo Morati

E’ un’aria fresca quella che si respira ascoltando il nuovo disco di Alison Moyet. Un’aria di quelle che ti fanno capire come oggi si possano ancora realizzare opere senza cedere a compromessi modaioli. Pubblicato dall’etichetta indipendente Cooking Vinyl (un nome, un programma), The Minutes rompe un silenzio di oltre cinque anni (The Turn è uscito a fine 2007 e nel mentre c’è stato tempo anche per una reunion degli Yazoo), con la collaborazione del produttore e autore Guy Sigsworth che ha contribuito a imprimere un sound compatto e moderno sulle undici tracce che lo compongono; il tutto assecondando al meglio il progetto di un’artista che, per varie ragioni, ha centellinato nel tempo la produzione discografica.

Sono del resto passati quasi 30 anni dal formidabile successo di Alf, con The Minutes (ottavo album da solista) che cambia drasticamente le regole del gioco riportando prepotentemente alla ribalta una grande voce e autrice senza il supporto di talent show che dir si voglia. E il pubblico sta rispondendo in modo sorprendente al tam tam delle note posizionando di nuovo Alison Moyet ai primi posti delle charts britanniche. Ma non sono certo le vendite a decretare la qualità di un album a dire il vero piuttosto complesso. The Minutes in effetti non è facile da ascoltare, tutt’altro, con il termine ‘catchy’ che mal gli si addice. Già il brano che lo aveva anticipato, Changeling, faceva promettere bene in questo senso tra suoni elettrici e tirati, minimalisti, così come il più radiofonico (si fa per dire) e accessibile When I was your girl, scelto per trascinarlo a ridosso della pubblicazione.

Una strategia, questa, che si è rivelata azzeccata sollecitando l’interesse per un insieme di undici tracce aperto dall’ipnotica Horizon Flame e chiuso dalla notturna Rung by the tide. Nel mezzo oltre a quanto già citato, diverse intuizioni electropop come Apple Kisses, che sposa passaggi classici e moderni chiudendosi in modo sorprendente, o Right as Rain, che non perde un colpo nella sua struttura ritmica. E poi le aperture melodiche di Remind yourself, la velocità di Love reign supreme (prossimo singolo, che ci ripropone la Alison Moyet più giocosa nel canto) che si spegne nel passaggio a una classica ballad, A place to stay, fino alla cullante Filgree e alle accelerate e frenate multicolori di When I say (no giveaway). Al centro una cantante che mantiene costante la capacità di coinvolgere con voce e parole (un’attenzione ai testi è a questo proposito doverosa).

In definitiva facciamo fatica a dire quale sia il brano migliore di un disco che non fa nulla per essere mainstream e curiosamente ci riporta, nella sua meticolosità della ricerca di suoni alternativi, indietro di almeno un paio di decenni, proiettandoci contestualmente nel miglior futuro musicale possibile, dove pur nell’azzardo virtuoso degli arrangiamenti viene comunque mantenuto un buon equilibrio armonico.

Twitter @paolomorati

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