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I Jefferson

Stefano Olivari 18/01/2025

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Poche serie televisive hanno avuto un impatto positivo sulla cultura popolare come è stato per I Jefferson, la cui prima puntata andò in onda negli Stati Uniti il 18 gennaio 1975 mentre in Italia si sarebbe vista soltanto 6 anni dopo. Inutile nel mondo di Google e Grok spiegare cosa siano The Jeffersons, andiamo direttamente a ciò che pensiamo e cioè alla carica eversiva di questa sitcom, che mandò fuori di testa tromboni di destra e sinistra. Sì, perché i neri dei Jefferson, a partire dal protagonista, imprenditore che crea una catena di lavanderie a New York, sono nella media benestanti, come accade del resto nelle serie di Netflix dove il più ignorante è giudice della Corte Suprema, ma soprattutto non sono monodimensionali, né santi né criminali. Sono insomma persone di cui poter ridere senza incorrere in una scomunica.

Poco affini al gusto moderno sono le risate registrate da sitcom, ma non hanno mai dato fastidio ad alcun fan di George e Louise (cioè Weezie) Jefferson, aprendo la strada a tanti prodotti che reppresentavano neri né vittimisti né schiavi felici dei bianchi, su tutti ovviamente I Robinson (in originale The Cosby Show), senza dimenticare Willy, il principe di Bel Air e il nostro amatissimo Sanford and son, che guardavamo su Telereporter. Ma al di là dei discorsi etnici e sociali, è interessante notare come oggi sia quasi scomparso il genere sitcom, che non è sopravvissuto al passaggio dalla centralità della famiglia (il nostro culto è per Casa Keaton) a quella degli amici, alla Friends. Dall’inizio del millennio anche nella serialità si è preferito puntare su storie più complesse e ambiziose, invece che su una quotidianità in cui tutti si potessero identificare. Il gestore di una lavanderia è mediamente più vicino a noi di un serial killer o di un consigliere della Casa Bianca. .

Di sicuro quel 18 gennaio l’inizio della serie, il trasloco in direzione Manhattan, con George che sulle note della celeberrima Movin’ On Up saltella orgoglioso del suo successo nel lavoro, è un manifesto ideologico potentissimo, ben lontano dalla retorica della sfiga o su quella della ricchezza slegata dal modo in cui la si è ottenuta. un manifesto del berlusconismo, se vogliamo. Noi infatti lo vedevamo alle 19 su Canale 5 e proprio su Canale 5 ci fu una ospitata in Grand Hotel, dimenticata trasmissione Fininvest che schierava quasi un dream team (Gigi e Andrea, Maurino di Francesco, Franco e Ciccio), degli attori che interpretavano George e Louise, Sherman Hemsley e Isabel Sanford, con una agghiacciante gag insieme a Paolo Villaggio e un balletto finale di George con una Carmen Russo d’epoca. Giganti.

stefano@indiscreto.net 

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