I centomila di Datome

24 Luglio 2012 di Fabrizio Provera

L’estate della febbre da spread, della vigilia olimpica che rischia di segnare la fine o quasi della nobile tradizione degli sport di squadra italiani  che non siano il calcio (leggasi in proposito l’analisi di Oscar Eleni sul Giornale), dei mercati sportivi che si fanno senza soldi (quelli, ormai, sono appannaggio esclusivo di avidi speculatori che nessuno Stato, neppure con al timone il più elegante e compassato tra i convitati fissi ai meeting molto british di Trilaterale e Bilderberg,  riesce a fermare: vergogna, massima vergogna), ci ha appena regalato un piccolo ma significativo caso esemplare. Niente eroismi, giacché si tratta pur sempre di contrattazioni tra professionisti, al netto di calcoli e convenienze reciproche, ma il caso di Luigi Datome, ala della Nazionale di basket e della Virtus Roma, malmessa formazione capitolina con presente incerto e futuro avvolto in una nube impercettibile, è da evidenziare. Datome, questi i fatti, ha rinnovato il contratto con la sua squadra scegliendo di ridursi lo stipendio; non se l’è sentita di abbandonare la scialuppa di Roma e del presidente Toti, che fa acqua da ogni pertugio, venti anni dopo i fasti gardiniani del Messaggero di Danny Ferry e Brian Shaw, ossia di una singola squadra il cui budget annuale (di allora) coprirebbe quello di un terzo o quasi della seria A del basket italiano odierno. Pur considerando che i 350mila euro annui  che Datome pare percepisse sino a ieri sono bazzecole per i campionati ‘pedatori’, ma non per gli attuali e miserrimi standard del basket italiano, il fatto che ci ha positivamente colpito è un altro. Il 16 luglio, al meeting della Nazionale di basket a Milano, pur non avendo padiglioni auricolari superiori alla media avevamo appreso chiaramente che Datome poteva scegliere tra almeno due offerte migliorative del contratto in essere sino a ieri, o comunque di pari entità (quindi superiore a quello che percepirà in futuro): una in Italia, una in Spagna. Non conosciamo Gigi Datome, ma dai suoi occhi traspare lo stesso orgoglio sardo che abbiamo visto in quelli di Giovanni Columbu, produttore di un vino straordinario e anti moderno (la Malvasia antica di Bosa), che a più di 80 anni l’ha portato a diventare l’eroe di un  film, Mondovino di Joseph Nossiter, celebre in tutto il  mondo.Ci piace, Gigi Datome. Come ci piacque il no di Cristiano Lucarelli opposto a un contratto più remunerativo di quello offerto dal suo Livorno, di cui volle vestire la maglia amaranto in serie A per festeggiare al cospetto della curva più politicizzata a sinistra di tutta Italia, sotto le insegne di Ernesto Guevara o dei simboli dell’Internazionale.  Un gesto analogo a quello di due altri giocatori della Nazionale, Peppe Poeta e Angelo Gigli, che hanno scelto il blasone della Virtus Bologna a scapito di contratti più remunerativi che (forse, non è certo) avrebbero strappato altrove. Ecco perché Gigi Datome merita il nostro plauso. Senza facili e retorici paralleli con altre discipline o altri atleti. Ci piace e basta, e gli auguriamo le migliori fortune. Sarebbe stato un perfetto soldato della corazzata povera e villana di Cantucky…

Fabrizio Provera, 24 luglio 2012

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