I cazzuti di Briatore

20 Settembre 2012 di Stefano Olivari

L’aria di Yuppies, inteso come film dei Vanzina, unita a un po’ del managerese schietto anni Ottanta che rese da noi un mito Lee Iacocca (adesso quasi novantenne, chissà cosa pensa dei nuovi proprietari della Chrysler…) e che riempì le librerie di prontuari tipo il famosissimo One Minute Manager (quasi 40 milioni di copie vendute). Tutta roba, va detto, non peggiore dei corsi motivazionali di oggi, quelli che ti insegnano a vedere il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto. Confessiamo di non essere riusciti a staccarci dalle prime due puntate della versione italiana di The Apprentice, dove Flavio Briatore è perfetto nella parte di Flavio Briatore. Il meccanismo del gioco è quello di tanti reality e talent show: due squadre che si sfidano per raggiungere un obbiettivo (nella prima puntata era guadagnare il più possibile dalla compravendita di pesce, nell’arco della singola giornata e partendo da un capitale di 750 euro) e alla fine viene eliminato un elemento della squadra perdente. Per fortuna non ci sono televoti né giurie di qualità: decide Briatore, dopo avere ascoltato due suoi assistenti. Il vincitore finale avrà in premio l’opportunità di lavorare per Briatore, con uno stipendio, a detta del patron del Billionaire (ma anche scopritore di Schumacher e Alonso, oltre che ex uomo di fiducia dei Benetton ed ex varie altre cose non tutte da citare con orgoglio), a sei zeri. Qui abbiamo qualche dubbio: se uno sogna di fare l’imprenditore, che piacere potrà trarre dal prendere ordini da Briatore o da chiunque altro? Sarebbero stati meglio soldi puri, a meno che anche qui il vero premio non sia il semplice apparire ed essere così riconosciuto dal vicino di casa. La chiave del successo del programma, in onda su Cielo il martedì sera, risiede ovviamente nella caratterizzazione dei personaggi: al momento sembrano un po’ stereotipati, senza la creatività o al limite anche l’intuito un po’ cialtrone di un Briatore, ma nel corso delle settimane qualcuno di sicuro emergerà (le regazze sono meno ridicole, comunque). Di culto assoluto l’endorsement di Donald Trump, protagonista del The Apprentice originale (trasmesso dalla NBC dal 2004), molto divertenti anche i pep talk di Briatore ai concorrenti, a colpi di ‘Chi lavora con me deve avere due palle così’ e ‘Voglio gente cazzuta’, ma anche le sue osservazioni a concorrenti quasi tutti un po’ spocchiosetti, come il pubblicitario che si ostinava a considerare geniale la scelta del nome ‘Il gruppo’ per il suo gruppo (“Mi sembra una stronzata”, la sintesi di Briatore). Da manuale quella a uno che aveva sbagliato i conti del 20% e biascicava anche giustificazioni. Un programma di sicuro molto divertente e per certi veri più ‘americano’ dell’originale, che chiaramente attirerà le critiche negative dei sedicenti depositari del buon gusto. Invece in mezzo al trash più o meno consapevole il messaggio, forse involontario, è buono: il lavoro è ottenere un prodotto o comunque un risultato, non aspettare stancamente il 27 del mese facendo riunioni, guardando l’orologio e dicendo ‘buon weekend’ o peggio ancora ‘buon we’ già il mercoledì sera.

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