Attualità
Hugh Hefner e i non lettori di Playboy
Indiscreto 28/09/2017
La morte di Hugh Hefner aumenterà a dismisura il numero delle persone che non hanno mai letto Playboy ma che ne parlano, bene o male che sia. In realtà tranne che all’inizio, nell’America degli anni Cinquanta, la rivista non era dedicata a chi fosse in cerca di foto di nudo o a chi cercasse una scorciatoia per la masturbazione, anche se poi per molti l’uso è stato quello.
Nell’intuizione del grande editore, nativo di Chicago, Playboy era soprattutto uno stile di vita: senza tabù, senza legami, senza un progetto o un’idea che andasse al di là del piacere e del presente. Prova ne é il numero di intellettuali o di personaggi pop che hanno avuto rubriche nelle varie versioni nazionali di Playboy, senza contare le famose interviste: da Sartre a Steve Jobs, da Martin Luther King a John Lennon, quasi tutti i personaggi che nella storia recente hanno spostato qualcosa si sono concessi alle pagine patinate di Hefner. Che non avevano inventato, non ci viene un termine migliore, la figa, ma quello che sarebbe stato definito lifestyle. Un pacchetto completo per l’uomo ideologicamente edonista, con firme che avremmo potuto trovare sul New York Times: di culto la rubrica di Al Gore, spesso ripresa dai nostri corrispondenti dall’America del genere ‘L’America è divisa’.
La versione italiana di Playboy ha vissuto anni di grande splendore, durati fino agli Ottanta, prima di chiusure e riaperture senza speranza e senza più senso, con copertine in certi casi non troppo distanti da quelle dell’Espresso o di Panorama, riviste adesso agonizzanti che adesso sembrano dedicate al padre di famiglia votante PD o Forza Italia e non certo a persone intellettualmente libere. Playboy lo abbiamo letto di più rispetto a quello che ingiustamente veniva considerato suo competitor, cioè il Playmen di Adelina Tattilo, dove si andava dritti sul corpo femminile pur mantenendo sempre una certa classe. E lo abbiamo letto onestamente molto meno di Le Ore, Supersex e dei tanti fumetti porno che hanno allietato la nostra adolescenza, anche se nella testa dei genitori anni Settanta e Ottanta facevano tutti parte dello stesso girone con meccanismi colpevolizzanti che ci costringevano a fare chilometri per trovare un’edicola dove non ci conoscessero.
Poi nemmeno un’idea imprenditoriale geniale deve portare alla santificazione: l’Hefner della maturità era una macchietta consapevole, che ha vissuto alla grande ma soltanto secondo i suoi canoni. Le sue stesse playmate possono mettere allegria o tristezza, a seconda dei momenti. L’uomo nella testa di Hefner è insomma scomparso molto tempo prima di Hefner.