Howe che poteva essere quasi Bolt

11 Luglio 2013 di Carlo Vittori

Il recente 20”45 di Enrico Demonte a La Chaux-de-Fonds, che lo ha collocato all’ottavo posto di tutti i tempi in Italia, mi offre lo spunto per parlare dei duecentisti facendo esempi concreti e non pura teoria. Dal decimo al primo (tutti sanno chi è al primo posto, ma forse qualcuna delle altre posizioni è difficile da ricordare), ogni atleta ha una sua unicità. Alcuni li ho allenati, gli altri li ho solo osservati. Prima di tutto però vorrei rispondere a una domanda che mi fanno tanti appassionati di atletica: perché oggi non esistono quasi più duecentisti? Non solo in Italia, peraltro.

Questa situazione dei 200, in assoluto ma anche relativamente alla vitalità che c’è nei 100, è secondo me originata da due motivi. Il primo: i duecentisti di oggi si allenano malissimo, non seguendo le regole fondamentali dell’allenamento sportivo (psico-fisiche, psiconervose e ormonali). Un discorso che potremmo applicare anche ad altre distanze e di sicuro ai 100. Il secondo motivo è collegato al primo, visto che non è che gli allenatori facciano apposta a far allenare male i propri atleti:  gli atleti hanno preso la supremazia psicologica nel rapporto con l’allenatore e quindi l’allenatore per non perdere l’atleta lo accontenta in ogni modo. Anni in cui si è ripetuto, anche da parte di addetti ai lavori, che l’allenatore è una creatura dell’atleta, hanno prodotto questo risultato.

Dire che i duecentisti non ci sono più è un’affermazione generica, che suona come da nostalgico dei tempi andati. Per essere preciso, dico allora che non esistono più i duecentisti ma solo ragazzi che corrono i 200 metri. Nel senso che corrono una distanza doppia dei 100, ma non secondo il potenziale evidenziato dai tempi nella distanza più corta. Ai tempi del cronometraggio manuale, si diceva che un duecentista sfruttava il suo potenziale se raddoppiava il suo tempo dei 100. Uno da 10”30 doveva insomma fare 20”60. Con il cronometraggio elettronico la situazione è un po’ cambiata, al doppio vanno tolti dai 22 ai 24 centesimi che sono il ‘guadagno’ per così dire medio ottenuto dal manuale all’elettronico. Il direttore di Indiscreto mi chiede sempre la sintesi (la divagazione sul cronometraggio andrà in un futuro articolo) e allora sintetizzo: uno che corre i 100 in 10”30 allenato bene e con un assetto di corsa corretto in relazione alla sua struttura dovrebbe avere 20”36 nei 200. La chiave del ragionamento è che il duecentista non ha caratteristiche di base diverse dal centista: la differenza, semplificando al massimo perché questo non è un manuale per allenatori ma un articolo, sta nell’allenare la resistenza alla velocità, non nell’avere una velocità potenziale diversa. Presso alcuni circoli tecnici circola un pensiero castrante, cioè che la resistenza alla velocità che è la base dei 200 nuoccia alla velocità nei 100. Ma non esiste un solo atleta nella storia a cui abbia fatto male un allenamento sulla resistenza alla velocità, record personali alla mano.

I duecentisti italiani di oggi non solo non sfruttano il proprio potenziale come record personali, ma nemmeno riescono a correre sui propri limiti nelle gare che contano. Vale anche per i centometristi. Segno che il primo problema è il lavoro sulla psiche e sulle motivazioni. Che si ottengono non facendo discorsi ‘motivazionali’ copiati da chissà chi, ma variando intensità, volumi e soprattutto organizzazione degli allenamenti. E’ la novità a generare interesse e quindi risposta ormonale (misurabile, non è teoria astratta), non certo l”abitudine. Non significa inventarsi pazzie, ma evitare la routine.

E adesso il giudizio sui dieci duecentisti italiani primi nella classifica all time, che non significa i migliori di sempre (non c’è Berruti!).

Al decimo posto, con un 20”53 del 1983, uno dei ‘miei’: Carlo Simionato. Poteva essere un grande, con il suo fisico longilineo, fu settimo ai Mondiali di Helsinki 1983 oltre che argento nella staffetta con Tilli, Pavoni e Mennea dietro agli americani. Si è ritirato troppo presto.

Al nono, con un 20”48 del 1994. Giorgio Marras. Aveva ottime possibilità, però al di là dei tempi non ha dimostrato il suo valore in gare importanti se non agli Europei del 1994 conquistando il bronzo con la staffetta. Ottavo Demonte, che aspettiamo quindi ai Mondiali, e settimo con un 20”44 del 1997 un altro che come Marras avrebbe potuto fare di più, Giovanni Puggioni. Anche lui ha ottenuto il risultato della vita con un bronzo in staffetta, ai Mondiali del 1995, e non nei 200. Al sesto posto Alessandro Cavallaro, con un 20”42 del 2003, uno che visto il personale nei 100 ha davvero corso vicino al suo potenziale. Un duecentista nato, capace di arrivare fino alla semifinale in un Mondiale, ma finito troppo presto. Cambi di allenatore, da Di Mulo a Tilli, e l’adagiarsi in una certa routine gli hanno impedito il grande salto di qualità.

Stefano Tilli, uno che ho conosciuto bene, è quinto con un 20”40 del 1984. Talento naturale fantastico, figurarsi che iniziò a fare atletica sul serio a 20 anni e dopo pochi mesi era già campione europeo indoor nei 60 metri. Avendo un personale di 10”16, il grande potenziale sui 200 c’era ma lo ha espresso solo indoor, dove è stato anche primatista mondiale. Poi la sua fissazione nell’allenarsi a Roma, all’Acquacetosa, su una pista troppo dura, invece che a Formia, ha iniziato a creargli problemi ai tendini. Un grande talento, parlo del Tilli allenato da me e che mi sono trovato in pratica ‘servito’ dalle sue doti: il Tilli da 70,5 chili. Quello da 80 chili sarebbe arrivato in seguito (che tristezza quella recente esibizione da culturista che ho visto in televisione…), non lo conosco e preferirei non parlarne. Certo che i risultati parlano da soli.

Ricordato al quarto posto Marco Torrieri, con un 20”38 del 2001, bravo a sfiorare la finale ai Mondiali di Edmonton 2001 ma finito troppo presto prima di limare quei 20 centesimi che poteva limare, arrivo al terzo, un altro che ho allenato a lungo: Pierfrancesco Pavoni, anche lui con un 20”38 (1987) Lo metto terzo perché i suoi risultati nelle grandi manifestazioni sono stati superiori a quelli di Torrieri e perché il potenziale era davvero immenso. Non nei 100, sua fissazione nonostante i piedi relativamente lenti (mi diceva che il suo obbiettivo era il record del mondo), e nemmeno nei 200 dove impegnandosi sarebbe potuto arrivare ad un comunque buono 20”20. Ma nei 400, dove correva in modo divino. Con la sua muscolatura forte e la sua capacità di rimbalzo valeva 44”50, tranquillamente. Tempo con cui si poteva dominare in Europa e prendere una medaglia a livello olimpico o mondiale. Come ho fatto per Tilli, parlo del Pavoni che ho conosciuto personalmente. Per quello degli allenamenti con il tecnico di Ben Johnson ci sono i giornali dell’epoca.

Avendo già detto tutto sul primo, un Mennea di cui scriverò presto su Indiscreto a proposito del suo primo ritiro, chiudo questa rassegna parlando del secondo all time: Andrew Howe, che al Mondiale Juniores di Grosseto del 2004 fece un 20”28 che mi fa rabbia solo a ricordarlo. Talento pazzesco, era con tutta evidenza un velocista che poteva saltare in lungo e non il contrario. Un Jesse Owens, fatte le debite proporzioni. Invece ha puntato sul lungo come gara principale, oltretutto senza mai correggere il suo errore di chiusura ‘a libro’. Nonostante i 4 tecnici che in contemporanea l’hanno seguito, o forse proprio per questo, lasciava sulla pedana almeno 30 centimetri. Forse ha pensato che nel lungo anche saltando così poteva lo stesso prendere medaglie importanti ed in effetti così è stato fino a quando non si è fatto male. Ma rimango dell’idea che Howe sarebbe stato un grande duecentista, magari non Bolt, ma di sicuro uno con un potenziale da 19”40 (Mennea a 19 anni correva in 20”70…). Se guarirà, forse è ancora in tempo per essere un duecentista almeno buono. Glielo auguro.

Carlo Vittori, in esclusiva per Indiscreto

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