Happy days più happy hour

9 Luglio 2013 di Fabrizio Provera

Ad un’’estremità della tribuna stampa del Forum di Assago, stanziali e inamovibili, siedono quelli che il cronista Indiscreto (moi..) ha ribattezzato ‘’I senatori’’. Trattasi di Werther Pedrazzi, Luca Chiabotti e del nostro Oscar Eleni, trio di penne affilate e di antico e consumato rito, nonché di unanime considerazione ed importanza. Il Direttore di Indiscreto li cura sempre a breve distanza, discutendo di minors lombarde e di NBA con chiunque, mentre il sottoscritto – grande fan delle zingarate – da qualche tempo, a mo’’ di devozione, fa spesso una genuflessione al cospetto del Maestro Pedrazzi. Una volta Luca Chiabotti ha persino alzato lo sguardo dal pc, rivolgendoci un’’occhiata pietosa e un pensiero chiarissimo, anche solo dallo sguardo: ma chi è ‘sto’ imbecille?

L’’introduzione serve a far capire quanto fondata sia la conoscenza dell’’universo Olimpia di Werther Pedrazzi, attualmente in forza al Corriere della Sera, da decenni ‘finis dicitor’ del cesto e grande esperto di cose meneghine. Il suo recente ‘Scarpette Rosse. La storia dell’’Olimpia Milano, Signora del basket (Limina edizioni, 18 euro molto ben spesi), è decisamente un libro da leggere. Sotto l’’ombrellone, o dove volete. Punto, e potremmo anche non andare avanti. Noi l’’avremmo intitolato Dal Vangelo secondo Werther Pedrazzi. Gli uomini dell‘’Olimpia Milano‘, ma non siamo degli editor. Il libro è una storia per modo di dire, o meglio al modo di Werther, che ha la capacità di tenere incollato il lettore per oltre 220 pagine, grazie a una miscellanea affascinante di nomi, storie, e all’’evocazione di vittorie e di grandezza (entrambe passate, al momento).

Uomini, in primis: Adolfo Bogoncelli, Gianmario e Giovanni Gabetti, ma soprattutto l’’ultima vittoria del 1996, con in panca lo zingaro triste Boscia Tanjevic, cui l’’autore di questo libro dedica un passaggio di rara e autentica bellezza. Scarpette Rosse è scandito in 14 capitoli, 14 sinfonie diversissime tra loro, ma unite dallo stesso (va da sé…) fil rouge: la passione per l’’uomo, oltre che per l’’atleta. Non è un caso che il primo capitolo si apra con un epico scontro tra Dino Meneghin ed Art Kenney. E non  è neppure un caso, per dirla con lo Scalfari che intervistò Andreotti (scena ripresa da Paolo Sorrentino nel Divo),  che Pedrazzi appartenga, per lignaggio di penna e non solo età anagrafica, alla nobiltà del giornalismo sportivo che affonda la sua più solida radice nel Principe della Zolla, Gianni Brera fu Carlo da San Zenone.

Scarpette Rosse è una carrellata affascinante di nomi, anche per i non tifosi Olimpia: Cesare Rubini, Sandro Gamba, Sandro Riminucci, l’’indimenticabile Adolfo Bogoncelli, che nel 1956 ingaggia il primo straniero nella storia del basket italiano (per le cronache, fu un greco: Mimis Stephanidis), l’’epopea del Simmenthal e la prima Coppa dei Campioni vinta da una formazione italiana (1966), e poi Bill Bradley, da Milano al Senato americano, Dino Meneghin, Mike D’Antoni, John Gianelli, Tojo Ferracini, Renzo ‘Barabba’ Bariviera, Vittorio Gallinari, bocconiano e padre di cotanto figlio.

Ci sono pagine molto godibili anche su un’altra persona ben nota agli Indiscreti, ossia
Toni Cappellari (divertentissimo il racconto del suo titolo nobiliare e di un suo avo, che ascese persino al soglio di Pietro, e di un pranzo a Livorno nel post mancato canestro di Andrea Forti contro la squadra di Alberto Bucci); e poi Dan Peterson, ma anche la lungimirante avvedutezza di patron quali la famiglia Gabetti, che acquista l’’Olimpia dopo che Peterson incrocia in corso Venezia a Milano l’’allora sponsor di Cantù. Quei Gabetti che nel 1989 stavano per cedere l’’Olimpia all’’arrembante Silvio Berlusconi, ma i desideri del rampollo di famiglia Gabetti bloccarono tutto al momento di firmare il contratto di vendita.

Altro basket, altri tempi, altri uomini. Quelli della cessione di Roberto Premier da Gorizia all’’Olimpia, con Cappellari che resiste a sette ore di estenuante trattativa ad una tavola friulana, con vino e grappe in abundantiam e lo sfinito Cappellari che, concluso l’’affare, declina l’invito a cena (erano le 19.30) e se ne va in albergo, incapace di salire in auto per tornare a Milano. I grandi assi americani: il citato Bradley, Skip Thoren, Mike Silvester, Antoine Carr, Russ Schoene, il Faraone Nero, al secolo Joe Barry Carroll, e il totem di Greensboro, Bob McAdoo. Che con un volo sul parquet labronico valse a Milano uno scudetto.

E poi, come per incanto dopo i fasti della da molti (Troppi? Troppo?) decantata Olimpia anni Ottanta, dei Grande Slam e della vittoria a Losanna con seguito di carosello biancorosso da Milano alla Svizzera, l’’ultima versione vincente dell’’Olimpia: quella di Bepi Stefanel, Nando Gentile, Dejan Bodiroga, Gregor Fucka, Sandro De Pol, Rolando Blackman ed ovviamente Boscia, Boscia Tanjevic.  Un bellissimo capitolo è riservato ai luoghi simbolo della storia Olimpia, da via Caltanissetta – quella palazzina Liberty le cui mura trasudano storia del cesto – alle sue innumerevoli stanze, alla nascita di un negozio di culto per tutti i patiti di questo sport transitati per gli anni Ottanta (All Basket), sino ad arrivare al luogo che forse più di tutti ha sempre esemplificato e plasticamente restituito l’’esprit Olimpia: il Torchietto di via Ascanio Sforza, il ristorante affacciato sul mare di Milano (i Navigli) dove per anni si sono celebrate le vittorie e pianto le sconfitte di casa Olimpia, dove si giocavano interminabili partite a carte, dove c’era sempre un piatto pronto. Dove oggi c’’è buio, passano distratti venditori abusivi di fiori, non ci sono neppur più delle Graziose in stile De Andrè, ma solo ragazzini impasticcati e  cover band che – nel vicino ed altrettanto celebrato locale di musica live, dove si esibirono Andy Summers, Stewart Copeland, Jannacci e i più grandi jazzisti italiani – deturpano, come ci è capitato di vedere dal vivo, i grandi classici di Jimi Hendrix. O tempora, o mores….

Chiudiamo ricordando- soprattutto a beneficio dei milanesi – che giovedì 11 luglio, dalle 18, ‘Scarpette Rosse’  sarà presentato al pubblico al Quanta Sport Village di via Assietta 19 a Milano, poco lontano da dove un tempo furoreggiavano Renato Vallanzasca, Francis Turatello e la Banda della Comasina. Al tavolo della discussione, in rappresentanza delle varie età dell’’Olimpia, saranno invitati Gianfranco Pieri, Sandro Gamba, Dan Peterson, Franco Casalini, Dino Meneghin, Lupo Portaluppi, Nando Gentile, Boscia Tanjevic e ancora Vittorio Gallinari, Roberto Premier eccetera.. Con  anche Luca Banchi, neo allenatore della EA7 Emporio Armani (impegni,suoi, permettendo). Dopo l’’incontro-dibattito, ci informa l’’autore, per chi volesse intrattenersi ancora per prolungare la discussione o porre ulteriori domande ai protagonisti di una lunga storia, seguirà un ricco “happy hour” (a bordo piscina) a pochi euro. Volete mettere uno Spritz a bordo piscina con Gallinari senior, Meneghin o Casalini?  Un appuntamento di culto, per gli amanti del cazzeggio colto.

In chiusura, eccovi le nove straordinarie righe che Werther dedica a Boscia Tanjevic. Buona lettura: ““Boscia non era un uomo: era un romanzo. D’’amore, rabbia e avventura. Innamorato della luna, nelle notti fredde, limpide e serene. Boscia guardava i fuochi nella notte di Milano, non erano i falò accesi per scacciare i lupi in una vigilia rivoluzionaria, ma soltanto cupi segnali d’’improvvisati mercati dove si vendono e si comprano corpi avariati, non certo l’’anima delle cose e della gente, come sognava Tanjevic. Boscia deve aver patito tristezze metropolitane. Avara. Per uno zingaro tenero e crudele, che amava bere il fuoco liquido e sognare l’Utopia e la Città del Sole’”.

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