Hanno ragione i Porcedda

25 Novembre 2010 di Stefano Olivari

Chi ha la sfortuna di fare l’imprenditore, spinto più dalle circostanze della vita che dall’etica protestante, sa bene cosa significhi essere pagati a 180 giorni o non essere pagati affatto. Il cialtrone di turno, quasi mai bisognoso e sempre capace di trovare gente che non gli spacchi la faccia, nella migliore delle ipotesi alla centesima telefonata si fa passare la cornetta dalla domestica e ti dice: ”Allora mi faccia causa”.

Ben sapendo che la giustizia civile in Italia è messa peggio di quella penale, essendo giornalisticamente più importante uno stupratore in libertà (può anche diventare una stella a Buona Domenica o a Porta a Porta) rispetto a un piccolo credito inesigibile. Mille peripezie con mille fatture diverse ci sono tornate alla mente sentendo fare poche ore fa a Sergio Porcedda, mentre passeggiava a Milano, un tranquillo punto della situazione sul Bologna: ”Non si sa se il mio è un addio al calcio, con lo stato d’animo attuale potrebbe esserlo. Al momento non si può dire se lascio la Società, anche se ho dato incarico di venderla. Non sono state chiuse una serie di operazioni finanziarie e non abbiamo trovato una buona accoglienza dalle banche. Cerco però di uscire da questa vicenda a testa alta”. Il tutto detto fischiettando, metaforicamente ma nemmeno troppo.

Roba da brevi delle pagine economiche o sportive, se non fosse che: a) Il Bologna non paga stipendi da oltre tre mesi ed entro Natale sarà penalizzato di 3 punti in classifica; b) Porcedda non ha dato ancora un solo euro ai Menarini, i precedenti proprietari, per l’acquisto della società; c) La società è in vendita, sotto la regia del redivivo Giovanni Consorte (il più furbo dei furbetti del quartierino, uno che si può definire uomo di mondo), e stando alle cifre che circolano alla fine di tutto Porcedda potrebbe uscirne anche con un sostanzioso guadagno a fronte di di zero investimenti e rischi. Una vicenda oltre i confini della realtà, anche per i nostri parametri cialtroni. Con la solita morale: hanno ragione i Porcedda. Almeno finché hanno a che fare persone molli come noi, che abbiamo interiorizzato anni di oratorio e che non li aspetteremo mai sotto casa. Ogni tanto qualcuno più laico però lo trovano.


Stefano Olivari

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