Guarda… stupisci, Arbore e il passato che stravince

17 Dicembre 2018 di Paolo Morati

Renzo Arbore, a 81 anni suonati, con i 2,6 milioni di spettatori della prima puntata di Guarda… stupisci su Raidue è stato la settimana scorsa il salvatore della patria televisiva generalista. In studio tra musica napoletana (non a caso il sottotitolo è Modesta e Scombiccherata Lezione sulla Canzone Umoristica Napoletana), ospiti e frattaglie televisive, Arbore ha dimostrato ancora una volta di essere un veicolatore di intelligenza laddove la televisione odierna non è più in grado di reggere il confronto con il passato. E che si aggrappa a quest’ultimo prima di esalare gli ultimi respiri, stretta tra decine di canali verticali e lo streaming di qualità dilagante.

Niente di nuovo di fatto, lo diciamo alla Arbore, sotto ‘o sole. A partire dal braccio destro, il sempre eccellente Nino Frassica (ultimamente in grande forma, mattatore anche da Fabio Fazio), con la compagnia di Andrea Deloglu, ottima partner non a caso con un forte background radiofonico. E dall’Orchestra Italiana, dai cori del pubblico giovane e festante, dei filmati di archivio, e di tutti gli ingredienti che la tv pluridecennale di Arbore ha inventato e che avevamo già avuto di recente al possibilità di gustare nuovamente con la celebrazione di Indietro Tutta. Eppure, nonostante il canovaccio iper rodato (o meglio, grazie ad esso) c’è ancora tanta arte popolare da scoprire nelle esibizioni pittoresche di Marisa Laurito, nella barzelletta del leone con Gigi Proietti, nelle bacchette di Tullio De Piscopo, o nei frammenti (tra i tanti proposti) di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Un sapore di già sentito? Indubbiamente. Ma rimaniamo in attesa di un nuovo linguaggio televisivo di massa, che non si rivolga soltanto ai propri amici e fan con la giustificazione della verticalità.

Poi certamente in Guarda… stupisci c’è la musica, un filo conduttore che è di fatto l’argomento di lezione della trasmissione, ma soprattutto ci sono la storia e l’ironia, perché la vera forza di tutto è quando Renzo Arbore parla e racconta. Con entusiasmo vero, sincero, ancora affamato di cultura, e non da piazzista del prodotto in cui è calato che deve per forza apprezzare (e far piacere al pubblico) l’oggetto del palinsesto. Il tutto facendoci malinconicamente riflettere su che cosa tra 50 anni un ipotetico suo erede potrà insegnare dei nostri tempi di spettacolo, mentre l’attuale televisione del telecomando, incorniciata in schermi sempre più grandi, sarà finita definitivamente nel dimenticatoio.

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