Grandezza di Diamantidis e Giordani

19 Ottobre 2012 di Fabrizio Provera

C’eravamo anche bardati e vestiti di tutto punto, a mo’ di novelli pretoriani del grande comandante spartano Leonida: armatura, spada, scudo, coltelli e pugnali. Davanti al televisore, ieri sera, abbiamo sofferto e combattuto assieme alla Mapooro Cantucky che sfidava il Panathinaikos Atene di genio Diamantidis, in un’Oaka quasi deserta (7.000 presenti, su una capienza totale di 19.000, danno davvero questa impressione) e nel giorno in cui, nelle piazze greche, qualcuno è morto mentre la gente ingaggiava una dura lotta contro la polizia. Ben altre lotte e ben altri problemi, a cui rimandiamo con la efficace battuta del Direttore: è il Wto, bellezza. Troppo periglioso e complesso occuparci della drammatica crisi finanziaria greca, ci limitiamo a commentare una sconfitta che brucia molto meno di quello inopinata contro Lubiana, settimana scorsa.

Comunque, ieri sera è andata in scena una riedizione dello scontro Atene-Sparta. Seppure fortemente ridimensionato, e con una squadra dove persino Maciulis  deve svolgere un ruolo da protagonista e non di comparsa, il Pana è sempre il Pana. Diamantidis, anche se col respiro trafelato e la fatica palesata dalle mani sulle ginocchia, è sempre Diamantidis; Big Sofo Schortanitis ha preso spunto da Alex Tyus, e ieri sera il Dean Martin del Pitturato sembrava lui; Tsartaris si è limitato a giocare con intensità quei pochi minuti che hanno spezzato le reni alla difesa canturina. Manu Markoishvili, anche per quel cerotto sull’arcata sopraccigliare, si è battuto da Leonida; lo hanno supportato capitan Mazzarino, Jeff Brooks (che se viene costantemente elogiato da Popovich-Trinchieri, ragazzi, un motivo ci sarà…) e Dean Martin-Tyus, almeno a tratti. Jerry Smith è andato a farfalle, forse era irretito dal fosforo di Diamantidis; passi. La sofferenza maggiore, tuttavia, ce l’ha provocata un nostro beniamino assoluto: Marty Leunen, The Brain, l’erede del QI cestistico di Vlado Micov, che ieri sera – come a Sassari- era perso nei perigliosi sentieri e nei labirinti mentali che l’Antica Grecia ispira a tutte le menti avanzate. Ma se sconfitta dev’essere, allora che sia una grande sconfitta: e la piccola Cantucky, in vantaggio all’Oaka durante l’ultimo quarto  e che alla fine perde di due punti, ha combattuto sino al termine. Grazie ragazzi. Venerdì prossimo ultima chiamata contro il Khimki Mosca, che non è squadra da aristocrazia del cesto, casomai da ceto borghese arricchito dai petrol-rubli: serviranno 6.200 nobili villani canturini.

Ieri sera abbiamo visto anche la coriacea Siena, che non ha dimenticato la sua passata grandezza, sfiorare l’impresa contro il Maccabi: avanti di 6 con meno di 2 minuti da giocare, è toccato all’ex pesarese Hickman fare pentole, coperchi e punti, battendo persino un grande difensore come Moss nell’uno contro uno finale. E tutto sotto gli occhi del grande vecchio del Maccabi, la sfinge Shimon Mizrahi, presidente del club dal 1969, ossia da quasi mezzo secolo. Onore a Siena, che ritrova il misterioso Kemp. Se Hackett non commetterà altre assurdità come la palla persa a 40 secondi dal termine, la Montepaschi può ancora dire la sua. Anche se siamo a zero punti dopo due giornate, come Cantucky. Milano, questa sera, è chiamata a bissare la bella prova contro l’Efes a Zagabria, campo certamente più agevole di Atene o Tel Aviv. Su Scariolo, a dar retta alla ‘rosea’, incombe la pesante ‘evocazione’ della figura di Obradovic. Un grave errore, secondo noi; i problemi di Milano sono più sul parquet che in panchina, a nostro modestissimo avviso.

Nel 1986 non avremmo mai pensato, quando leggemmo il primo numero (primo per noi, il giornale era nato nel 1978) di Superbasket all’età di 13 anni, di trovarci – 26 anni dopo- a scrivere un pezzo commemorativo della persona che è stata un punto di riferimento, che ci ha fatto innamorare del giornalismo con la palla a spicchi, che ha segnato un prima e un dopo: oggi ricorrono i 20 anni esatti dalla morte del grande Aldo Giordani, inventore di Superbasket (ei fu) e prima voce del basket televisivo di mamma Rai. Chi scrive è il meno titolato e quello col minor coefficiente di  storia personale e blasone, per raccontare la grandezza del Jordan: ci piace perciò citare Luca Chiabotti, che sulla Gazzetta di oggi  ha ricordato come Giordani fosse grande- tra le altre cose- nell’aver saputo ideare un giornalismo già internauta (senza avere Internet) e anticipatore dei tweet (senza  avere Twitter). Vogliamo solo pensare che ieri sera, davanti a un televisore ad alta ricezione satellitare, nel girone baskettofili del Paradiso, il Jordan avrà goduto della grandezza di Diamantidis. Dimenticando per un attimo che Superbasket non è neppure più in edicola. Altri tempi, altro basket. Ma soprattutto, e prima di tutto, altri uomini.

Share this article