Una grande annata

8 Ottobre 2013 di Simone Basso

Il Lombardia offre l’epilogo sentimentale, quello del calendario Uci si trascina fino alla Cina e al Giappone, del ciclismo su strada. Un mantra meteorologico ha accompagnato le classiche monumento italiane: se l’anno scorso le Foglie Morte si conclusero nel nubifragio, quest’anno Sanremo e Giro sono sembrate – in alcuni momenti – prove di sport estremo, al limite dell’ipotermia e della bronchite cronica. Allora vedere vincere a Lecco, meritatamente, Joaquim Rodriguez sotto un cielo grigio topo, autunnale il giusto, con solo un po’ di pioggia, ci ha fatto capire che Giove Pluvio, pure lui, si è stufato del Bel Paese…

Grande 2013, colmo di avvenimenti forti, notizie contraddittorie e imprese di alto livello. Consolante il fatto che l’aristocrazia delle due ruote, cioè quelli che contano, sia stata protagonista per diversi mesi; un’abitudine che differisce con l’impostazione ossessiva, monotona, del ciclismo dei primi anni zero, quello dei reduci di Epolandia. Bel segnale quindi, anche se – nell’evo del passaporto biologico – certe dissonanze risaltano maggiormente. Il duello tecnicamente più esaltante, nonchè il più significativo, è stato l’O.K. Corral tra Cancellara e Sagan sul Paterberg alla Ronde. Spartacus, involandosi verso il traguardo, ha compiuto più del cinquanta per cento della doppietta Fiandre-Roubaix. E’ come se, il bernese, avesse infiocchettato definitivamente una carriera da dominatore del Nord. Pensiamo però che nel 2014, nel caso si ripetesse lo stesso scenario, Peter Sagan – ventidue vittorie quest’anno, una più bella dell’altra – ne approfitterà per cominciare, ufficialmente, la sua era. Kronos non può essere ingannato, nemmeno dai campioni.

Il giorno più lungo dell’anno è stato alla Tirreno Adriatico, nella frazione vagamente sadica di Porto Sant’Elpidio. Una tappa epica, disputata sotto il solito (..) acquazzone. Davanti, nella fuga mattutina, c’era un Cancellara promettente (e minaccioso); dietro, la corsa è esplosa. Froome, capoclassifica fin lì, perde qualche metro, fatale, in discesa; il resto è farina di un Nibali coraggioso e furente. Finisce con Sagan che vince, lo Squalo secondo, con la Tirreno in tasca, e Rodriguez terzo. Una Liegi-Bastogne-Liegi disputata nel fermano, coi muri resi impossibili dall’acqua a catinelle.A quasi trentotto minuti di distacco, ultimo, arriva Taylor Phinney: percorre centotrenta chilometri solo soletto, alla deriva. La sera, stravolto dalla fatica, dichiara: “Adesso sono ai massaggi e sto piangendo come una bambina piccola…”. Proprio il figlio di Davis e Connie (Carpenter), a fine Luglio, ha realizzato una delle due imprese atletiche, performance pure, del 2013. L’altra, lo ribadiamo ancora, è stato l’assolo dal chilometro zero di Tony Martin verso Càceres alla Vuelta: quasi 175 km, con il gruppo (più che altro l’acerrimo rivale Cancellara..) che l’ha ripreso solamente a trenta metri dalla linea bianca. Per tornare all’americano, al Giro di Polonia, nel circuito di Katowice, è uscito ai meno sette e ha tenuto a debita distanza l’intero plotone. Settemila metri in apnea (a 51,320 orari!), roba concessa a pochi eletti, magari pistard dell’inseguimento o giù di lì. Coppi, Altig, Groen, Nijdam junior, il primo Ekimov, etc. Un bel club.

Al Tour l’apice ideologico (almeno finora) di Chris Froome e Nairo Quintana. Due mostriciattoli figli della mondializzazione e del post merckxismo. Il ciclismo è ormai atletica leggera su bicicletta: sta ai paesi storici adeguarsi alla novità, altrimenti diventeranno – inesorabilmente – tappezzeria. Se il keniano pallido ha coperto, vincendo, sei mesi di competizioni, non possiamo non nominare la continuità di Vincenzo Nibali: i Due Mari a Marzo, il Trentino ad Aprile e il Giro a Maggio. Secondo alla Vuelta, quarto ai Mondiali, esibendo la tripla corona dei ras. Classe, cuore e testa. E citare il destino amaro di Purito Rodriguez, il piccolo grande uomo sempre là davanti, beffato a Firenze più da un presunto compagno di squadra – Valverde – che da Rui Costa. Curioso (inopportuno?) il trionfo iberico di nonno Horner. Classe 1971, una carriera così così da promessa mancata e un Settembre leonino. L’americano, secondo noi, avrebbe dovuto risparmiarci la pubblicazione dei dati del passaporto biologico. Perchè, per dirla con l’ottimo Thijs Zonneveld, la lettura di quei valori si tramuta – per tutti – in un test di Rorschach: ognuno ci vede quel che vuole.

Vorremmo affliggervi con la nuova Uci di Cookson, che eredita dai verbruggeniani un professionismo sbilenco – in espansione nel Mondo Nuovo, in recessione dove è (era) tradizione – o con l’ammanco di tredici milioni dalle casse Rcs, invece ci ostiniamo a raccontare i ciclisti… Quindi eleggiamo Marianne Vos corridore del 2013. Per quel che vi interessi, la fenomenale Marianne lo era già nelle due stagioni precedenti. Fa ridere che questa sia stata la prima annata con la campionissima più umana, alle prese con qualche scricchiolio fisico. Malgrado questo, la resa sulle montagne del Giro rosa, abbiamo perso il conto delle affermazioni nel ciclocross, in mountain bike (verso Rio 2016) e su strada. Vabbè il numero salendo (e scendendo) via Salviati, nella gara iridata, o la Coppa del Mondo dominata, però proprio al Giro, dalle parti del Parco Nazionale d’Abruzzo, ci aveva regalato un’istantanea della sua grandezza. Prima un Trofeo Baracchi con la Cromwell a darle i cambi, e dietro (furiose) a inseguirle, mentre un orso marsicano osservava lo spettacolo… Poi, da sola, con l’australiana che cadeva seguendo – invano – le sue evoluzioni a tomba aperta. Ottantacinque chilometri di fuga, il finale su una rampa al venti per cento, a fianco del Castello di Cerro al Volturno, e le velociste a mezz’ora. E’ il gesto della più grande atleta dello sport femminile di oggi, con buona pace di Missy Franklin e Serena Williams.

Adam Hansen è un aussie duro, alla Rosea di quest’anno si è pure imposto in una bellissima tappa (si arrivava a Pescara e – massì! – pioveva..). Salendo l’Alpe d’Huez, alla Grande Boucle, nella baraonda del mezzo milione di indiani, in coda alla gara dei Grandi, ha avuto voglia di una zingarata. Allora, al tornante 17, quello degli olandesi – sobri al pari di un Bukowski trentenne – ha chiesto una birra fresca. L’ha afferrata, proseguendo verso il traguardo. E’ con la sua fotografia, stramba quanto meravigliosa, che chiudiamo il panegirico di questa passione.

(per gentile concessione dell’autore, fonte: Il Giornale del Popolo dell’8 ottobre 2013)

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