Google-Hooli la vincitrice del biennio Covid

27 Ottobre 2021 di Stefano Olivari

Alphabet, cioè Google, come gli altri colossi tech è fra i vincitori di questo biennio del Covid: ieri l’azienda ha diffuso i dati del terzo trimestre 2021, con un profitto di 21,03 miliardi di dollari, il triplo del corrispondente periodo pre-pandemia. Il motivo è evidente: il boom della pubblicità online (nel 2021 proiezione di un più 26% rispetto al 2020), e quindi delle entrate del motore di ricerca quasi unico del mondo, è stato trainato da consumatori, non vogliamo chiamarli cittadini, che stanno di più in casa e soprattutto dalla quantità di attività commerciali che si sono trasferite online.

Fra Search, Maps e YouTube, Google è in grado di sapere chi siamo e cosa vogliamo meglio della concorrenza più centrata sull’aspetto social, campo in cui Google ha spesso preso schiaffi. Insomma, al di là delle fughe nel futuro buone per un articolo, come la Google Car, nelle sue attività caratteristiche Google è in una situazione di quasi monopolio. You Tube, cioè in prospettiva l’unica televisione che guarderemo, è una app di serie su molti televisori (ce l’ha anche il Sony Bravia che abbiamo appena comprato) e addirittura anche su piattaforme tipo Sky. Poi certo il giornalista cinquantenne apre l’account su Twitch, perché ha letto da qualche parte che si fanno i soldi. Ma, azzardiamo, è difficile farli discutendo di Pobega e Giroud.

Per Google qualcuno invoca l’Antitrust, ma non siamo nel 1974 e una compagnia telefonica americanissima come l’AT&T non può essere paragonata ad un motore di ricerca indispensabile anche per un bambino del Botswana. Difficile che Biden, o un eventuale presidente più di sinistra (non Kamala Harris, quindi), voglia fare questo grosso favore ai cinesi. E poi questi megafurbi tech da un lato fanno lobbbyng come i peggiori squali della storia dell’economia e dall’altro però sanno fare bene la parte dei progressisti.

In pratica puoi a parole difendere le minoranze (tutte tranne i maschi bianchi etero, del resto quasi scomparsi anche da Rai Uno) e far lavorare i tuoi microservi (a metà anni Novanta Douglas Coupland aveva capito tutto) con il calcio-balilla, le sneaker e il succo di mango, in cambio di una tassazione tuttora ridicola, anche dopo qualche episodio di buona volontà opportunamente sbandierato, e di una libertà nel controllo delle nostre vite che ormai diamo per scontata.

Ci sentiamo quindi di consigliare la visione di Silicon Valley, la serie di HBO arrivata alla sesta stagione e che in Italia è disponibile su Sky: colpevolmente, non riusciamo a stare dietro a tutto, non l’abbiamo ancora recensita ma in pratica è la parodia di una start-up, con i suoi alti e bassi da decine di milioni di dollari, in mezzo al cialtronismo bene infiocchettato del mondo tech, dove solo in cinque o sei hanno davvero cambiato il mondo. È il caso di Google, che qui si chiama Hooli e che come il modello reale butta soldi nelle iniziative più strampalate e li guadagna solo con il suo core business.

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