Gomorra 5, la giusta fine di Ciro e Genny

19 Dicembre 2021 di Stefano Olivari

Gomorra è finito con la sua quinta stagione, nel modo più prevedibile (che non diremo) ma al termine di una serie di colpi scena e tradimenti che a seconda del momento hanno fatto passare il pallino del gioco nelle mani di Ciro o in quelle di Genny. Come già scritto su Indiscreto dopo le prime puntate di Gomorra 5, la serie aveva ormai poco da dare e solo la resurrezione di Ciro Di Marzio, non per caso Immortale, le ha dato questo tempo supplementare. Ben giocato, nonostante i soliti schemi ed il fatto che Marco D’Amore e Salvatore Esposito abbiano voluto fare i mattatori, relegando i personaggi secondari, la vera forza di Gomorra, a pura carne da macello.

Ci siamo però lo stesso appassionati alla viscidità di ‘o Munaciello, vera rivelazione della stagione (non proprio coronato dai fiori d’arancio il suo fidanzamento con la sorella dei Levante), al giubbotto azzurro con mani in tasca di ‘o Maestrale, alla durezza della vedova di o’ Galantommo, ai conflitti interiori di Azzurra, a ottimi soldati come o’ Pitbull e o’ Bellebbuono. Tasse da pagare la presenza dell’irritante e fanatico Sangueblu e i soliti cambi di schieramento fra trafficanti di droga, con i cattivi che nelle fiction ormai possono essere soltanto napoletani o dell’Est Europa. Come al solito grandi assenti la polizia e la politica, il che rende Gomorra appassionante più per le storie personali che per la sua aderenza alla realtà.

Una buona carta che gli sceneggiatori si sono giocati sono i figli, a partire dal piccolo Pietro Savastano, perché in fin dei conti sono l’unico punto debole anche dei peggiori. Della sorte degli adulti ci importa zero, ma la tensione è tenuta alta da quella dei bambini, con annessa una retorica che vale dal camorrista al bravo cittadino. In Gomorra 5 si va verso l’epilogo sperando che a morire siano solo i cattivi, e del resto sono tutti cattivi, ma bambini e animali per fortuna rimangono un tabù.

Chiudiamo con le scene di culto della quinta stagione di una serie che non ha sbracato, spegnendosi di morte naturale. L’evasione trash, zona Alex l’ariete, di Ciro dalla prigione in Lettonia. Il romanticismo di o’ Munaciello con Grazia. La commemorazione di Sangueblu. La finta punizione di Luciana da parte di o’ Maestrale. Genny che soffia quando è sotto pressione. Ma, come già detto, mai come in questa stagione i comprimari sono gregari dei protagonisti, magari gli sparano però mai ne mettono in discussione lo status: come più volte detto, vorremmo uno spin-off  con Salvatore Conte, che sarà anche morto ma può sempre resuscitare. Lui sì che aveva la cilindrata giusta, anche dal punto di vista culturale.

In definitiva Gomorra è una delle rare fiction italiane a superare raramente i confini del ridicolo, anche negli episodi meno credibili, e non è una cosa da poco. All’inizio ha sfruttato il traino del libro di Saviano, che però aveva soltanto una parte dedicata a Secondigliano e alla droga, poi ha camminato con le proprie gambe ed è finita al momento giusto. Lasciandoci con una sola domanda senza risposta: perché una fiction dell’americana Sky ambientata a Napoli è finanziata anche dalla regione Lazio?

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