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Goldrake, Jeeg e Mazinga: i robot con le anime

Paolo Morati 23/03/2015

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Un paio di giorni fa mentre passeggiavamo in strada abbiamo incrociato un papà in compagnia del figlio pre-adolescente che stringeva in mano la prima uscita dei dvd de Il Grande Mazinga venduti in edicola. La scena ci ha provocato un sussulto nostalgico nonché il piacere della conferma di un trend, quello della riscoperta multi generazionale delle opere di Go Nagai, che quando comparvero in Italia alla fine degli anni Settanta, a dire il vero in ordine piuttosto confuso, avevano scatenato reazioni contrastanti: adorate dai ragazzini ma criticate con superficialità da chi vi vedeva solo una minaccia violenta e poco educativa per le giovani menti degli spettatori. Il padre dei ‘mecha’, a cominciare dalla Mazinger Saga, comprensiva in ordine cronologico di Majingā Z, Gureeto Majinga e UFO Robo Gurendaizā italianizzati rispettivamente in Mazinga Z, Il Grande Mazinger (e poi Mazinga) e Atlas Ufo Robot (quindi Goldrake), e di Kōtetsu Jīgu (Jeeg Robot d’Acciaio) non fu probabilmente toccato molto dalle polemiche mentre da noi si scatenava quel passaggio decisivo dalla (apparente) più rassicurante scuola cinematografica disneyana, fatta di storie e fiabe a lieto fine dal tratto morbido, alla più coinvolgente azione del fantastico guerriero giapponese.

Certamente uno dei fattori di successo italiano della compagnia fu quello delle curatissime sigle (elaborate dal fior fior degli autori italiani, da Vince Tempera a Luigi Albertelli passando per Franco Migliacci, per citarne solo alcuni), delle vere e proprie canzoni da hit parade, evocative e moderne negli arrangiamenti a cavallo tra il pop e il rock e nei testi richiamanti le gesta degli eroi nagaiani, interpretate da voci e band il più delle volte formatesi allo scopo. Alzi la mano chi cantando non si è almeno una volta immedesimato nel taciturno e aristocratico Actarus (Daisuke Umon), capace di passare in un lampo dall’abbigliamento da cowboy a quello spaziale per guidare il robot con cui era scappato dalla stella Fleed (da cui anche il suo nome nobile e reale Duke Fleed), il potente Goldrake. “Si trasforma in un razzo missile, con circuiti di mille valvole, tra le stelle sprinta e va, mangia libri di cibernetica insalate di matematica e a giocar su Marte va…” dal 1978 in poi fu l’inno delle serate di tante famiglie scatenando poi anche la corsa al gadget che lo raffigurava (di recente abbiamo anche rigiocato al suo gioco in scatola…). Un brano che aprì poi le porte a quelli successivi (“Va distruggi il male va… Io sto tranquillo se ci sei tu”) fino addirittura a formare un LP completo cantato da un omonimo in carne e ossa (Michele Tadini).

Più marziale e scura la sigla del Grande Mazinga (“Trema, il regno delle tenebre e del male dalla fortezza della scienza arriva con i suoi pugni atomici Mazinga Robot” sbarcato sui nostri teleschermi nel 1980, splendida e crescente quella di Mazinga Z (“Quando udrai un fragor a mille decibel su dal ciel piomberà Mazinger”) rielaborazione leggermente rallentata e arricchita di quell’originale interpretato come molte altri in terra natia dalla leggenda nipponica Ichiro Mizuki, e affidato invece a Vincenzo Polito. Ma la canzone che scatenava (e continua a scatenare) una energia irrefrenabile è probabilmente quella di Jeeg Robot d’Acciaio, anch’essa generata ricalcando l’originale giapponese stravolto nel sound grazie all’innesto e all’uso spinto del minimoog e alla epica voce di Roberto Fogu (in arte Fogus), che per anni dopo fu erroneamente attribuita a Piero Pelù (da ascoltare il lato B Halgatron, strumentale e progressive). La storia dell’eroe di Jeeg, Hiroshi, e delle sue trasformazioni nella guerra contro l’impero Yamatai della regina Himica (cattiva straordinaria), pur non facendo parte della Mazinger Saga negli avversari è più vicino ad essa di quanto non lo sia quella di Goldrake (pur con il trait d’union rappresentato dal personaggio di Koji Kabuto/Alcor e di un elemento grafico comune, la v rossa stilizzata), il quale combatte finalmente contro i tanto temuti esseri spaziali laddove gli altri robot si trovano invece a difendere la Terra da minacce all’interno del suo stesso mondo, dai Mikenes ai piani del folle Dottor Inferno.

In generale l’universo di Go Nagai è fatto di eroi, buoni e cattivi, ironia, malinconia e sentimenti notevolmente umani, introspezione e reazioni, con la metafora della lotta quotidiana tra bene e male che si sviluppa nella fantasia di ragazzi e adulti senza quel buonismo di fondo di altre produzioni considerate più classiche e adatte invece, soprattutto all’epoca, ai bambini. Per noi della Goldrake generation non ci sono dubbi: quando si parla di serie mecha Actarus e Hiroshi erano e restano i nostri idoli (insieme a Banjo dello strepitoso Daitarn 3, uscendo dal mondo di GoNagai per entrare in quello di Yoshiyuki Tomino), Alabarda Spaziale, Raggi Fotonici e Protonici e Magli Perforanti l’oggetto preferito degli scontri tra fratelli e amici, e l’interesse per i missili pettorali sparati da Afrodite A (Afurodai Ēsu) un mistero che all’epoca si risolse giusto nel giro di un paio di stagioni.

Paolo Morati, in esclusiva per Indiscreto

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