Gli italiani quando si fa sul serio

8 Novembre 2014 di Oscar Eleni

Oscar Eleni torturato ad Oaka, inferno ateniese, liberato quasi subito dal Trio Medusa che facendo scoreggiare a Lugo il maestro Einaudi ci ha dato l’esatta interpretazione di quello che dicono le squadre italiane quando escono dal giardino di casa. Nel basket come nel calcio. Sette in trasferta e nessuna in salvo, magari qualcuna con giustificazioni logiche come Biella, come Roma sconfitta dopo tre supplementari, ma per le altre pesci in faccia. Vedere giocare le grandi squadre, dove la palla non si ferma più di un secondo nelle mani dell’attacco, soffrire la litania dell’idea contraria accettata dalle nostre è un vero martirio. Nelle legionelle dell’italbasket chi riceve il primo passaggio va sempre alla ricerca della sorpresa nella sfera, come a Pasqua. È sempre perdonato chi, una volta conquistato il possesso, comincia la fase del bullismo da uno contro tre, quattro, addirittura cinque avversari. Il passaggio questo sconosciuto, il movimento senza palla una fatica non conteggiabile nelle statistiche e quindi non vendibile dove tutti hanno scusa per giustificare egoismo, tanto le colpe se le deve prendere l’allenatore. Certo che vanno messi in croce anche i maestri del time out a sette secondi dalla fine di un tempo intermedio che dimostra, molto spesso, che nessuno ascolta e, quasi sempre, c’è una palla persa. Ma, di grazia, come ci si dovrebbe comportare, ad esempio, con l’Eric Williams di Cantù che ha commesso il quinto fallo nel terzo quarto andando a caccia di un pallone impossibile nella metà campo del Digione e poi alla fine se la rideva uscendo dopo la legnata? Come spiegare certe facce, certe richieste di aiuto difensivo da parte di chi non fa nemmeno finta di tenere un primo scivolamento? Questo stato delle cose nel reame dei cesti imploranti visibilità dovrebbe spingere la Federazione a chiedere una revisione dei costi e della qualità del lavoro in palestra. Pianigiani ha detto bene: tante volte l’esperienza europea migliora i giocatori, le stesse società. Peccato che si vedano tanti naufragi dove hanno costruito squadre settimine, peccato che gli italiani siano quasi sempre i primi a sparire quando bisogna fare sul serio.

Prendersela con soltanto i Gentile, Hackett e Melli a Milano sarebbe assurdo, ma certe cose rimangono impresse anche se poi le stagioni sono lunghe e l’Emporio, contrariamente a Sassari, nel suo girone può sentirsi al sicuro almeno per il quarto posto perché il Bayern non è così pericoloso e poi è stato battuto a Monaco e i polacchi del Turow non possono fare paura. Considerando quello che è accaduto l’anno scorso magari anche il Fenerbahce si potrebbe riprendere. Ma non è questo il problema di Milano. Diciamo che i due tuffi nella piscina vuota, prima ad Avellino, peccato di superbia, poi ad Atene, peccato di finta modestia, riaprono il cantiere di Banchi e, naturalmente, anche il tiro al piccione verso un allenatore che soffrirà davvero molto a far diventare questo nuovo Emporio una squadra vera se tutti penseranno prima a verificare il saldo nelle statistiche evitando di riflettere sull’idea del collettivo. Anche l’anno scorso non ci piaceva quel gioco creato per esaltare il bullismo individuale, quel togliersi di dosso gli avversari come faceva il crudele Max Baer con Carnera, evidenziando la logica dell’impero su chi non ha fisico e, magari tecnica, per tenere gli uno contro uno.

Non parliamo della nuova Sassari che ha un grande entusiasmo, ma nei confronti difficili non può sperare di cavarsela senza il mutuo soccorso in difesa e anche in attacco. Ogni settimana l’associazione giocatori ci manda giustamente una statistica sull’utilizzazione dei giocatori italiani. Sarebbe belle sapere cosa pensano alla GIBA quando risulta evidente che certi farfalloni di casa nostra sono castigati dalla famosa voce più-meno, quando li vedi cadere in banali peccati di gola che costano tantissimo.La verità è che da noi un pivot titolare in nazionale preferisce la battaglia di trincea a Cremona piuttosto che quella in palestra con una candidata al titolo, con la squadra di Sassari che è nell’eurolega, ragionando in maniera diametralmente opposta allo scorpione saettante Gigi Riva nei confronti della Sardegna. Ci si morde la coda, ci si morde sulle stesse cose da anni. Siamo nel nuovo millennio dove lo spazio spetta ai creatori delle nuove mode nel linguaggio, a quelli che vedono la prima partita della stagione NBA con lo stesso entusiasmo dei play-off sapendo che la stagione regolare è un mondo diverso, da commentare con cautela, senza entusiasmarsi per le stesse cose che poi in partite vere non puoi permetterti.

Diciamo che Milano vive così il suo trasferimento dal freddo alla primavera. Ne ha il diritto e la facoltà economica, la superiorità acclarata. Però avrebbe un senso anche arrivare ad un livello d’interpretazione che vada bene per le partite che fanno piccola cassa di risonanza e anche per quelle che ti qualificano nel vero basket continentale. Non consoliamoci con l’idea che i flagellatori di oggi potrebbero schiantarsi per fatica fisica e mentale quando conterà davvero. Fare il minimo non è da grande squadra e Milano è stata costruita per essere nello stesso oceano delle altre portaerei del gioco in Europa. Meglio sbagliare oggi che domani. Giusto. Meglio capire subito dove bisogna usare il bisturi. Giustissimo. C’è tempo, ma perché far nascere tanti dubbi avendo in mano tutte le chiavi?

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