Gli italiani in mano a Djordjevic

30 Dicembre 2019 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dal lago delle nuvole  nel Michigan dove non si stupiscono se Kobe Bryant parla in sloveno con il talento Doncic che fa impazzire Dallas, ma la scuola slovena è stata buona e quella Real sublime. Sul monte dell’istrice trovi gente che racconta storie bellissime, come se avessero una sintonia speciale con la Milano del diciannovesimo secolo dove la mala cantava Porta Romana prima di Gaber e Svampa, anche se le versioni di questi due grandi sono davvero straordinarie.

In Porta Romana si parla della via Filangieri, carcere,  giovani vite perdute, un gran serraglio dove la bestia più feroce era il commissario, prima ladro e poi spia. C’era anche un campana e ogni volta che suonava era una condanna come certi fischi a pene di segugio, come diceva il Jordan.

L’inno per il fine 2019 che andrebbe bene al nostro governo, al nostro sport in generale che si salva in derapata con Paris, Bassino, Goggia, Brignone o Wierer, il canto della mala che racconta le storie recenti del Milan, della stessa Inter, ma, soprattutto, dell’Armani basket.

Che anche quando gioca partite decenti, come  a Kaliningrad, la casa di Kant e dell’ambra, sembra davvero una compagnia di celestini che in allenamento si fa soltanto carezze e dove la bestia più feroce sembra davvero il povero allenatore costretto a ripetere le stesse cose troppe volte per non mandare tutti al diavolo e puntare soltanto su mercenari convinti, come fanno adesso i potenti ingaggiando squadracce per difendere la loro speciale via della seta.

Questa storia dell’allenatore che diventa l’unico difensore feroce di un progetto è la nostra malsana via per cambiare tutto in modo che gattopardescamente non cambi niente. Prendi lui e lo cacci, lo fanno in tanti, in quasi tutti gli sport, nella speranza che la gente ti creda. Se va male, allora vendi o svendi, se hai fortuna trovi come il Pallotta della Roma un altro americano che ha voglia di sentire le geremiadi delle radio dove si parla soltanto di calcio.

Un po’ come i giornali, soprattutto quelli che si vendono come sportivi: loro sono loro, anche quando scrutano il mondo dai privè, dalle spiagge dorate, se cade uno spillo e un brocco viene venduto a peso d’oro è un paginone, gli altri si arrangino. A meno che non portino sponsor, pubblicità, promesse di settimane meravigliose, macchine parlanti in prova.

Ci accontentiamo di incontrare qualche volta gente davvero speciale, magari Bolle che va fra la gente  per rendere più popolare la sua danza, oppure la Staccioli, che conoscemmo grazie al geniale Zorzi della saga Velasco,  ex ginnasta, che dopo 25 anni crea sempre per valorizzare i suoi Kataklò danzanti. Confessiamo che il Fonseca, allenatore della Roma appena ceduta per un record di dollaroni, ci ha colpito e spinto a studiare la scuola portoghese.

Così come nel basket, ma anche nel calcio, nello sport in genere, tanti dovrebbero davvero studiarla la storia della Jugoslavia: cultura, lavoro, coraggio, sfida, magari con troppa presunzione, ma dove passano lasciano il segno. Da noi cominciò Boris Stankovic, poi Nikolic, Tanjevic, in mezzo Zare Markovski e ne dimentichiamo tanti, ma adesso c’è questo Sasha Djordjevic che Milano non prese in considerazione anche se lo aveva stimato come giocatore, ammirato come tecnico, anche se vive a Brera. Uteri diversi. Lingue biforcute, amori che sfociano nell’idolatria e poi nell’odio, un paciugo a suon di milioni, ma, per chi vede soltanto quello che gli fa comodo, basta la cantilena dei giardinetti: il pallone e i soldi sono miei, comando io.

Certo poi capita che a rimbalzo non ci vadano i più ricchi, che la palla vagante se la conquistino i meno abbienti. Storia dell’umanità. Da sempre. Dipende da dove la guardi. Questi sono i giorni delle sardine e di Sardara che non da oggi è uno dei migliori creativi fra i dirigenti di sport, uno che assicura, rassicura. Adesso che ha sfidato Pozzecco ad essere più pazzo di lui tutti si accorgono che ha fatto davvero un capolavoro anche quest’anno. A Sassari e a Torino anche se la squadra di A2 ogni tanto batte in testa per la dannazione del nostro caro Guerini che, giustamente, rivorrebbe in serie A la città che ha ben tre palazzi veri per lo sport in sala.

Ora, tornando a Djordjevic ci ricordiamo cosa fece a Treviso, come lanciò il Gallo. Gatto sornione, troppo intellettuale, alla slava, come diceva il poliziotto Belushi mentre Danko sfidava il mafioso in un frontale con tir. Geniale sempre, spiritoso, nato per essere campione, nato per insegnare perché sa sempre scegliere le persone che devono aiutarlo. Quando era con la nazionale serba c’era un personaggio sulla sua panchina che sembrava  trovare le parole giuste per giocatori con troppo ego, con troppa timidezza, con troppe malattie per stare bene in un gruppo.

Alla Virtus ha ricostruito questo fortino e Petrucci, che un giorno pensò a lui per la Nazionale, deve rammaricarsi di non esserci arrivato, anche se con Sacchetti ha scelto benissimo ma per il quotidiano, mentre l’idea sarebbe di avere qualcosa di più interessante del tre contro tre. Djordjevic ha qualcosa di speciale quando va in campo per una sfida.

Guardate i suoi italiani  e pensate a quelli degli altri. Il Baldi Rossi che Buscaglia aveva educato a Trento meglio che a Bologna, ora sembra davvero il giocatore che tutti speravamo potesse diventare. Pajola ha avuto anche in passato le carte da giocare, ma adesso suona musica diversa, ha una faccia diversa, come lo stesso Cournooh.

Messina che è un grande si domanderà perché Moraschini adesso fa il gambero, Della Valle non riesce ad essere diverso dalla  falena notturna. Non diciamo che la Virtus sia ora la prima candidata al titolo. L’abbiamo vista peccare a Sassari, ma con le squadre del Poz succede a molti, sappiamo che servirebbe una pedina in più per avere eurocoppa e tutto il resto, però la squadra diverte e avere un Giotto come Teodosic, il Drugo delle nostre storie cestistiche, o un pittore della stessa scuola come Markovic aiuta molto: certezze slave che da noi sarebbero state castrate nella culla.

Si chiude  all’Epifania la prima fase del campionato ma già oggi sono con il biglietto per le finali di coppa Italia  la Virtus Bologna, Sassari, Milano, Brindisi e Brescia, stupendamente terza, anche qui non stupisce che in panchina ci sia uno che ha imparato da Tanjevic la via della miniera e della palestra, la stessa che Boscia aveva indicato al Poz ribelle, prima di ritrovarlo adesso a Canossa mentre sgrana il rosario per  ringraziare lui e Repesa che pure gli hanno dovuto far male perché capisse.

Sì, la bestia più feroce nelle squadre di oggi deve essere per forza l’allenatore, meglio se prima non è stato né ladro né spia, anche se il marciapiede aiuta e regala anche a gente di valore medio alto gloria immeritata visto che poi avaramente non lasciano nulla alla società, allo sport che li ha resi ricchi e famosi.

Benedicendo casa Ottoz che tiene in vita il Memorial Calvesi per velocità ed ostacoli, la festa e il ricordo di un grande, il 12 gennaio ad Aosta: gare per giovani, ricordo per tutti, si spera anche per chi allena oggi, andiamo verso le pagelle che mischiano basket coi veleni aspettando un brindisi agli zoppi che fanno fatica a guarire, ai malati che si sentono dire sempre le stesse fregnacce: vedrai che passa. Non è vero.

10 Alla RAI che dopo 15 anni ha rimesso il basket in diretta su una rete nazionale. Gloria a Giordani che per questo si batteva ogni giorno. Gloria ai ricchi sponsor che hanno “convinto” la direzione, ma anche a chi ha gestito la diretta: tutti bravi e l’intervallo sfruttato bene per due storie interessanti.  Il pubblico avrà gradito? Dicono 3 per cento di share, 445.000 ascolti. Dove scrivevo una volta direbbero poca roba, dove si mitizzano i 2 milioni della pallavolo femminile rideranno, ma per noi è meglio di niente. Ai malati è concesso.

9 Al BALDI ROSSI delle due sfide Virtus al Pala Fiera. Lo consideravamo un ragazzo latte e miele, cresciuto tecnicamente bene, ma fragile. Se resiste tutto l’anno Sacchetti avrà un giocatore vero in più.

8 Ad Ettore MESSINA perché devi avere pazienza per resistere se i tuoi giocatori dicono sì buana e poi vanno a pisciare fuori dal vaso. Soffriamo per lui anche se il popolo Virtus gli ha detto che non tutti qui hanno memoria corta o vanno in giro a dire che sei quello in panchina su Azzurra Fremebonda quando  la Croazia ci eliminò dall’Olimpiade. Questo è o paese dove se vinci 28 trofei ti dicono sì, ma…

7 Al BRIENZA che ha sbancato il fortino di Artiglio Caja a Varese con gli obici da 3 punti: Blackmon lo si poteva aspettare, ma non un Mian così. Meglio per lui e per le Aquile che trovano sempre un nido anche quando fa freddo.

6 A DALMASSON per aver trovato le parole giuste che hanno fatto diventare almeno una parvenza di squadra questa Trieste che ora aspetta, forse con troppo ottimismo, il solista Washington per raggiungere la salvezza.

5 Al pimpante ABASS che  crudelmente davanti alla sua culla canturina ha tirato fuori la voce del tenore che piace ad Esposito. Fanno bene a Brescia quando dicono che la Virtus deve rassegnarsi a  sognarlo soltanto. Anche se…

4 Al bravissimo MARTINO che ora si trova la Fortitudo che temeva di dover gestire dopo i troppi complimenti per un ritorno in serie A interpretato alla grande. Lui sapeva di avere finti leoni, ma cercava di mascherarlo, fino a quando il campo gli ha detto come sono le cose nella realtà.

3 Ai TOTI romani se non chiederanno all’americano che si è preso la Roma e che ama il basket una mano per dare  a Bucchi la squadra che merita, anche se al momento sta facendo benissimo con la ciofeca di bordo.

2 A DE RAFFAELE se, dopo aver vinto sulla sirena con Roma e non essere riuscito a domare davvero la Pesaro senza vittorie, non ci garantirà una Reyer gattona che come l’anno scorso diventerà serpente fra le lenzuola delle favorite. Non vorrà lasciare il sindaco sotto il Mose.

1 Agli ALLENATORI che trovano il successo abusando del tiro da 3 punti: lavori meno, fingi di essere un  genio, se non capiranno l’urlo di dolore del POPOVICH che ogni tanto trova il successo con i brutti Spurs di quest’anno grazie al tiro da lontano.

0 A Nico MELLI se nei suoi divertenti diari per la rosea non ci racconterà come si vive l’esperienza NBA guardando molto spesso dalla panchina, o se spiegherà perchè già adesso dice di dover pensare alla sua condizione fisica prima che la Nazionale si illuda di avere lui, il Gallo e Belinelli, anche se poi si dirà che le rinunce sono colpa del Sacchetti, il meno feroce che ci sia.

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