Gli anni Ottanta del Plastic

18 Novembre 2019 di Indiscreto

La morte di Lucio Nisi è un po’ anche la morte del Plastic, non vogliamo dire degli anni Ottanta perché gli anni Ottanta non scompariranno mai: nella nostra anima e purtroppo anche nel debito pubblico italiano, che è diventato mostruoso proprio in quel decennio di grande creatività ma anche di politica consociativa e sporca.

Il Plastic era lo storico locale di viale Umbria, a Milano (adesso da qualche anno è in un’altra via, in zona Sud, non sappiamo se sia cambiato anche come filosofia), diventato famoso per serate che una volta si definivano trasgressive ma che con gli occhi di adesso sembrano riunioni del club del burraco.

Serate spesso a tema gay, in particolare il giovedì, ma non solo, con travestimenti vari che attiravano le persone più diverse: cantanti come Springsteen e Freddy Mercury, artisti come Andy Warhol e Keith Haring, stilisti come Fiorucci, calciatori come Berti, Maldini (al quale Nisi voleva molto bene, una volta telefonò a papà Cesare perché lo venisse a riprendere), Zenga, Gullit e mille altri. E poi Cecchetto, Jovanotti, tutti i personaggi pop dei tardi anni Ottanta che vi vengono in mente, fra i quali una emergente Alba Parietti.

Oltre ovviamente a code chilometriche di sfigati, cioè quelli che pagavano per tutti, con un’altissima probabilità di essere respinti. Il posto era oggettivamente brutto, in una via buia della Circonvallazione, ma per strani meccanismi della comunicazione si era sparsa la voce che bisognasse esserci e così vip chiamava vip. Il successo fu in certi anni strepitoso: una notte del 1990 Nisi fu rapinato della parte in contanti dell’incasso di una serata, 15 milioni di lire che sarebbero circa 16.000 euro di oggi…

Noi però Lucio Nisi non lo abbiamo conosciuto soltanto come sfigati in coda (poche volte, a dire il vero, anche nella nostra età più stupida) ma come clienti del suo negozio di fruttivendolo in via Gulli al 60, come calciatori dell’oratorio in cui lui era una sorta di animatore sportivo, come parlatori di calcio (lui era milanista) davanti all’edicola in cui verso le 9 del mattino si era formata una piccola comunità, di cui faceva parte anche Luis Suarez che abitava in via Martinetti (noi e Nisi in via Gulli, una volta) e che commentava senza filtri le notizie dei giornali sportivi appena usciti, di cui già all’epoca eravamo fra i pochi acquirenti.

Cosa vogliamo dire? Che con tutto il male che pensiamo delle discoteche il Plastic fu una grande idea in una città che raramente metteva in contatto persone di ceti sociali diversi come avveniva ad esempio, nel bene e nel male, a Roma. Persone che a volte avevano una sostanza anche fuori da lì, ma che molto più spesso erano qualcuno o qualcosa soltanto al Plastic.

Non è scomparso Leonardo Da Vinci, beninteso, ma un uomo che sapeva fare bene il suo lavoro. E non è poco. Proprio l’altro giorno, guardando una fila assurda di negozi vuoti e senza nemmeno più il cartello Affittasi, fra cui anche il fu fruttivendolo, abbiamo pensato che sono decenni che non sappiamo il nome nemmeno del vicino di pianerottolo.

Share this article