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Basket

Gli anni di Larry Wright

Oscar Eleni 22/04/2013

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Oscar Eleni da Wadi al-Jarf, sulla costa del golfo di Suez, dove un archeologo francese ha scoperto il porto più  antico del mondo. Quello voluto dal faraone Cheope, per andare in cerca di rame e turchese o scoprire terre nuove. Come dicono da noi, nel basket dei muti contenti, ironizzando sulle nostalgie datate di chi ha visto cose che loro neppure immaginano, non abbiamo navigato soltanto  sul Nilo di questa pallacanestro, ma abbiamo cercato anche altrove. E se non ci credono i barbapapà di oggi, i proliani in libera uscita, vi diciamo anche che insieme  a pane e birra ci siamo alimentati di grandi idee proposte da personaggi che davano dallo straordinario al magnifico.

Sarà per questo che proprio nella casa ammuffita dell’Emporio Armani tre arbitri preoccupati dalla contestazione di una curva vuota si sono dimenticati di celebrare con un minuto di silenzio la scomparsa di Angelo Rovati. Ecco, lui era uno da piramide di Giza, non il vero faraone ma un ingegnere con tante idee. Eh sì. C’erano questi bei tipi che elettrizzavano la scena. Una vita da barabba, avventurosa, bella, una corsa infinita verso cieli più grandi, ascoltando gente che aveva testa, che sapeva unire le forze, trovare risorse, muovere le acque stagne, navigare oltre il Nilo di papà, inventarsi qualcosa oltre a quello cher ti poteva permettere il forziere di Gardini o che ti concede oggi quello di Armani, così come ieri quello del Monte dei Paschi. Ci voleva forza per ridare un senso alla strage romana di buoni sentimenti dove in tanti, anche evangelisti emeriti, hanno esagerato nell’utilizzazione della cassa continua. Rovati era stato, insieme a Piero Parisini, uno dei grandi padri fondatori della vera Lega, del basket come vita da affrontare mettendo il saio, ma anche cercando fede, speranza, gioia nello stare insieme proponendo roba seria per vivai, organizzazione. Ma che ve lo diciamo a fare voi già sapete. Rovati e il suo guru Parisen. Che dolore perdere il primo e non  sentire più il secondo che ora combatte con la depressione di chi scopre che intorno ci sono davvero più traditori che persone serie, altro che l’uno su quattro  del povero Bersani, nella misteriosa terra di Punt dove il nostro basket era arrivato davvero.

Per Rovati nato in casa riboliniana, cresciuto dagli Allievi a Cantù, fatto maturare a colpi di mattone da Boris Stankovic, diventato uomo nell’altrove della vita fino all’incontro con l’arte di Chiara Boni e poi con la sapienza politica dei Tesini, prima che dei Romano Prodi, rimasto fanciullo per la vita di gruppo, cresciuto fino a servire pasti nei paradisi nel mondo, superbo nei ricordi della sua vita da giocatore con notti in gondola, da dirigente, amarissimo nel dopo, quasi come il Bersani di oggi, ma lui aveva portato un contratto, soldi, un bel progetto e poi si è visto trombare da chi adesso se la deve vedere da solo contro altra arroganza, altri prigionieri della loro sicumera.  Ci ha lasciato e lo piangiamo fraternamente, anche se nel ricordo più nitido, tracciato così bene su Palla Arancione da Enrico Campana, ci siamo resi conto che non potevamo mai andare sulla stessa barca verso la terra di Punt.

Così come non saliremo mai sulla barca di certa gente anche se dovesse convincere gli altri di essere migliore soltanto perché il papà compra tutto quello che serve per far apparire poveri gli altri, i rivali di un gioco che  si risolverà fra qualche settimana dopo aver scoperto dove vuole collocarsi l’Emporio Armani nel tabellone paly off che, al momento propone una sola sfida sicura: Varese-Venezia perché la Cimberio è prima e regina, squadra  che con il fattore campo respira bene e che ora dovrà convivere con questa riesumazione dell’Ivanov di Montegranaro che non è tipo facile, come direbbero i lituani, gemello del giocatore che ha fatto volare Avellino insieme a Pancotto a Lakovic.

Tutti hanno cercato un rinforzo, altri sperano di trovarlo. Milano ha fatto benissimo a scegliere un uomo che possa garantire rimbalzi, coperture per i ragazzi col piumino che stanno davanti e fremono per un canestro in più seguendo il concetto che è  l’attacco la chiave di tutto. Il Peterson  tossicchiante che lo ripete fino alla noia ci ha stufato. Abbiamo persino cambiato rete, un po’ per colpa sua, ma anche per la grafica a fondo schermo mangiata per metà, possibile che nessuno se ne accorga e, badate bene voi che pensate sempre agli altri come acide zitelle, non è colpa del televisore perché a servire Francicanava e Pittis c’era la grafica a tre quarti, ben visibile. Insomma basta con le prediche su come deve essere concepito il gioco. Se Milano è sicuramente più forte di tutti in attacco allora bisogna pensare che per contrastarla serva soprattutto una idea forte per la difesa.

Certo Varese può convivere nello stesso tratto di fiume, ha potenziale offensivo interessante, sa difendere, ma per gli altri non c’è altra strada. Non certo per questa Siena che stupisce prendendo un esterno quando ha passato il mare acido di Eurolega  perdendo sempre a rimbalzo appena le gambe hanno fatto diventare mediocri le percentuali al tiro e impossibile la gestione del gruppo con il super io di Brown dove la vittima, stranamente, è sempre Oertner. Non sicuramente la Cantù smilitarizzata con la cessione di Markoishvili, derubata della sua anima di squadra dalla sete di potere assoluto che ha spezzato ogni armonia ed equilibrio, come ben hanno compreso i tifosi della curva che ai loro aperitivi invitano i giocatori, anche se non tutti  sono benvenuti, ma non certo i tecnici o i dirigenti. Trinchieri ritrovi la difesa, insieme all’umiltà per scappare dalla stessa clinica dove fa lezione  il maestro d’aria fritta che rende così diversa  la vita di Scariolo. Sì, perché don Sergio e il Custer vestito da Buazzelli sembrano leggere dalla stessa bibbia. Ritrovano la “ loro” squadra quando corre contro avversari molto più deboli, la riperdono nei faccia a faccia veri, la riscoprono nei giardini delle delizie, la smarriscono nuovamente quando ci sono in mezzo i diavoli che, secondo i loro amici di comodo, non fidatevi, vi sputtaneranno alla prima salita, sono soltanto avvoltoi. Roma non è più la stessa da quando il pensiero debole  dei viaggi al cielo superiore hanno fatto dimenticare che sulla difesa era stata costruita la prima parte del viaggio. Non parliamo di Sassari, che ha preso oltre cento punti, sì col supplementare, ma erano già 102 dopo 40’, dai bambini del Sabatini che, come ogni anno, purtroppo, arriva sfinito a fine corsa e annuncia le sue dimissioni per la disperazione di chi aveva un titolo al giorno, di chi ha deciso di proteggerlo anche da sé stesso prendendo per minchioni tutti gli altri.

Insomma stiamo aspettando di vedere chi si uniformerà  alla testa quadra del friulano di Reggio, del Menetti che non ha truccato come  sbraita Trinchieri sul cambio del tiratore di liberi, ma ha fatto un altro capolavoro e  contro di lui sono cadute tutte le corone delle probabili finaliste. Se riesce a rinforzare ancora un po’ la trincea allora per buttarlo fuori ci vorrà qualcosa  in più di quello che permise a Siena, quando ancora era squadra integra, ligia alle regole della casa esacampione, di eliminarla in coppa Italia, anche i vincitori del trofeo sanno che fu durissima.

Siamo contenti che il prode Guerini, abbandonato da Biella e da Atripaldi, abbia ritrovato la luce nel deserto di questi tartari arrivati nel cielo  sopra Punt, chiedendo a gran voce il ritorno in Italia di Ettore Messina che pur presentandoci un CSKA non proprio a sua immagine e somiglianza, insomma squadra rompicoglioni che dà valore a tutto, al particolare e, soprattutto al pallone da giocare, è arrivato nuovamente al titolo russo, non era poi così difficile, anche se avversarie se ne vedevano dalla terra dei cosacchi al giardino intorno a Mosca, e, cosa più importante, ad un’altra finale di Eurolega. Ha una collezione di scalpi nella sua casa moscovita, in quella di Bologna, nella dependance castigliana e nel resort sull’oceano angeleno. Certo che ci manca. Lo vorremmo sentir tuonare contro questi bauscia di oggi. Certo non farà piacere a Pianigiani sapere che il cortese Guerini, con classe piemontarda, pur indorandogli la pillola, parlandone, come giusto, di uno che merita fiducia, almeno fino a quando la sfiga non farà diventare la Slovenia terra per amare riflessioni, chiede a Petrucci che, forse, lo ha anche chiesto a molti con gli occhi secondo le regole della casa del Sidro romana, di far tornare Ettorre dal Cremlino. Siamo d’accordo, ma prima lasciamo a Pianigiani la scelta di prendere l’arma per andare in questa foresta: il presidente dice che lo aspetta per il rinnovo.  Tutti sanno che in caso di eliminazione europea ci sarà terremoto. Ora decidano. Ma lo facciano subito e senza utilizzare messaggeri dello zar.

Pagelle dal porto più antico del mondo, quello dove trovi pirati e puttane, ma dove tracanni anche roba giusta, dove fai baldoria e ti bevi la vita mentre se ne va quella delle persone che hai amato di più. Beati loro che si ritroveranno nello stesso purgatorio, eh sì, gente da paradiso poca, ma almeno eviteranno questo ufficio facce come il didietro di Cita che Beppe Viola avrebbe collocato sotto la sala di decenza sul pianerottolo di Abatantuono e Terruzzi:

10 A Santi PUGLISI per la sua straordinaria vita in questo basket, per la voglia di uscire dopo 58 anni vissuti con lupara e buon senso finendo la corsa a Brindisi lui che ha sparato ai tordi, ma anche alle civette. Commovente rivederlo vicino a Bianchini in viale Tiziano come nei tempi belli: lui che imprecava, attaccava e l’evangelista con l’occhietto furbo che voleva far sapere di sapere già tutto, anche quando non sapeva nulla. Strana e straordinaria coppia che ha infilzato il nano ghiacciato mettendolo nel Martini della finale 1983 con i barman che la casa preferiva e che tutti desideravano molto più di quanto si vorrebbe veder cadere ancora una volta chi vuole il titolo solo per arroganza. Ave Santi e  non è un inchino al figlio di una senatrice della Reubblica che ha conosciuto i tormenti dell’essere fanatici di questo basket perduto.

9 Ad Angelo ROVATI che abbiamo ritrovato nell’immagine televisiva per il giorno del suo addio. E’ stato importante, lo sarà sempre, non importa se non ha sempre visto la porta giusta, ma di certo la sua presidenza di Lega si avvicina più a quella dei grandi che gli hanno fatto scuola che a questa bananiera sperduta sul fiume in secca.

8 Ad Ettore MESSINA campione  e zar, a Matteo BONICIOLLI, filosofo della sofferenza e delle amicizie ingiustamente troncate, per la loro  vita al freddo che si scalda con le carezze di chi in Italia li rimpiange come cervelli e anche come uomini del vero basket.

7 Al MENETTI che ha graffiato Trinchieri che lo accusava ingiustamemnte di furbizie, ma che poi ha riconosciuto di essere stato esagerato in quella Cheronea che è diventato il palazzo di  Reggio Emilia per tutti i persiani e i greci di questo mondo a spicchi.

6 Al SABATINI terremoto che, ancora una volta, ha avvisato per tempo la città dotta, che un tempo era basket city,  della sua intenzione di farsi da parte. Ora chi lo critica, chi lo ostacola, venga allo scoperto perché con le parole non si pagano debiti e per stare al vertice in questo basket, per competere con una grande banca, un grande stilista miliardario,  ci vuole qualcosa di più della faccia di bronzo. Vero che Varese vive di luce quasi propria senza dissanguare nessuno, ma chiedendo una goccia a tutti. Nel consorzio di Bologna, forse, non hanno avuto gli stessi sostegni del Sacro Monte, ma noi ci auguriamo che  li trovino presto, prima che tutto diventi cenere.

5 A TRINCHIERI che nella polemica con Menetti si è avvalso della prova tipica: noi Brunner lo conosciamo bene. Allora era meglio tenerselo stretto, magari come Mike Green o altri fatti scappare via.

4 Alla NBA che è, contrariamente a quello vagheggiato dai suoi sostenitori, una legona con tantissimi pregi, che noi non abbiamo e moltissimi difetti che, invece, coltiviamo con gusto. Al primo turno di play off hanno vinto  tutte le squadre in casa. Un po’ come da noi quando gli arbitri diventano caserecci più che casalinghi. Poi cambierà tutto. Intanto viva la casa.

3 Al LARRY WRIGHT arrivato a Roma per il trentennale dello scudetto capitolino del basket perché invece di commuoversi davanti alle assi di viale Tiziano avrebbe dovuto urlare alla città che la vera squadra romana deve avere come teatro almeno l’Eur. Lo dovrebbe fare tutto il basket italiano:  darsi da fare per avere arene come gli spagnoli, i tedeschi, i francesi, i russi, ma chi ci pensa….

2 Ai PROGRAMMATORI del basket in TV perché neppure il conte Masoch avrebbe mandato in onda, alla stessa ora, Juventus-Milan  di calcio e Reggio Emilia-Cantù di basket. Non credete a chi si discolpa accusando gli altri. Balle. I calendari si valutano e si fanno all’inizio dell’anno, leggendo anche i programmi altrui. Ad esempio è sempre da fessi non avere giornate con partite importanti quando il calcio si ferma per la Nazionale. Non ce la contate su con la storia del calendario a sorteggio, sembra tanto quella degli arbitri dove capita che il capo terna non sembri mai il migliore.

1 Ai GRECI che hanno fatto diventare polveriera anche questa eurolega accusando il loro connazionale Rigas, ex arbitro e capo dei fischietti di oggi. Siamo abituati, da sempre, quando non vincono, accusano, eppure hanno anche loro scheletri negli armadi e certe ville spiegano tanto, certi risultati dicono tutto. Insomma è un po’ come l’infelicità dei greci dell’Emporio Armani che non erano certo obbligati a cambiare paese e padrone se volevano il sole a mezzanotte.

0 A LANZARINI, BETTINI e CAIAZZA arbitri della partita di Milano fra Emporio e la retrocessa Biella dei grandi  delusi dal loro super io spigoloso: secondo l’intellighenzia che circonda il trono di Proli al Forum sono stati loro a dimenticarsi, ma roba da matti, che la Lega aveva  deciso di fermare per un minuto ogni parita nel ricordo del presidente Angelo Rovati. A parte che se uno dimentica, uno serio, magari, ricorda e  risolve, va beh. Ora non sappiamo come valuteranno questa imperdonabile amnesia nel pensatoio dove si decide chi  e come fischia, speriamo non ancora cosa, ma di certo siamo davanti ad un episodio che fotografa tutto. La partita era nella culla del tifo bambino milanese, visto che quello organizzato era fuori per protesta, insomma fiori e pannamontata, nessuna tensione. Come si può dimenticare un atto doveroso verso chi ha lasciato qualcosa in eredità al nostro basket? Non si accettano scuse.

Oscar Eleni, lunedì 22 aprile 2013

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