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Anni Ottanta

Gli anni di Dražen Petrović (56)

di Stefano Olivari

Pubblicato il 2020-10-22

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Oggi Dražen Petrović avrebbe compiuto 56 anni, se non fosse morto prima di compiere i 29 sulla Golf guidata dalla fidanzata Klara, futura signora Bierhoff. Di lui avremmo parlato per la decimillesima volta lunedì prossimo, in una serata organizzata dall’amico Alessandro Polenghi nel suo Bootleg e che avrebbe avuto come ospite d’onore Sergio Tavcar, ma tutto è saltato a causa delle note vicende. Torneremo più forti di prima, alla Mario Boni, per il momento proponiamo un capitolo, Manifesto degli anni Ottanta, del nostro Gli anni di Dražen Petrović , uno dei pochi veri successi editoriali di Indiscreto. Visto che noi siamo sempre gli stessi, il sospetto è che per vendere sia bastata qualche briciola della grandezza di Dražen.

(…) Per il Real l’Europa di stagione è la Coppa delle Coppe: negli ottavi si passeggia contro i Rangers di Glasgow, mentre anche se passano il turno in due il girone dei quarti è senz’altro più complicato, con Snaidero Caserta, Hapoel Galil Elyon e Cholet. Esordio vittorioso a fatica con i francesi, che come americani hanno Graylin Warner e Orlando Graham, poi a Madrid il 13 dicembre grande cavalcata contro Caserta: Dražen come al solito non sente la sfida con Oscar, ma gli fa comunque piacere metterne 43 contro i 36 del brasiliano. È in una fase in cui tenta di ingraziarsi Fernando Martìn, che non a caso disputa una gran partita grazie anche agli assist di Mozart. La vittoria in Israele mette al sicuro la qualificazione, poi arrivano la sconfitta con lo Cholet e la vittoria di uno a Caserta. L’allenamento finale contro l’Hapoel porta diritti alle semifinali insieme agli italiani, mentre nell’altro girone sono passate due squadre che a Dražen dicono qualcosa: Zalgiris Kaunas e Cibona Zagabria… 

   E al Real tocca proprio il Cibona, con tutt’altre prospettive rispetto al recente passato ma senz’altro ancora forte. Nella squadra sempre allenata da Vanjak ci sono tanti ex compagni: Cvjetićanin, Sunara, Arapović, Cutura… È tornato Nakić, soprattutto è tornato Aco dopo la sfortunata ma lucrosa parentesi alla Scavolini. Il 14 febbraio, all’entrata in campo prima della gara di andata, Zagabria tributa a Dražen tre minuti di standing ovation. Lui quasi si commuove, così come Aco. Quasi. Ma poi c’è l’agonismo e Aco in campo dà un benvenuto particolare al fratello, con un fallaccio che nessuno dei due prende sul ridere e ai vecchi cronisti ne ricorda uno di un Šibenka-Cibona. Dražen non la mette comunque sul personale e reagisce con 38 punti, trascinando compagni imbambolati, mentre nel Cibona gioca la partita della vita Mico Milicević. Il Real vince di uno, con due tiri liberi finali proprio di Dražen. Secondo diverse testimonianze Aco gli avrebbe chiesto di sbagliarne almeno uno per preservare il premio partita del Cibona. Conoscendo come nessun altro la mentalità di Dražen è difficile che abbia pensato di impietosirlo, mentre è verosimile che gli abbia detto qualcosa di pesante per aumentare la tensione. Comunque sia andata, Dražen finge di non sentire e in un pandemonio incredibile, frutto di sentimenti contrapposti, segna i due punti della vittoria. A Madrid non solo Dražen ma anche tutti gli altri sembrano scherzare: il ragazzo con la maglia numero 5 del Real Madrid è totalmente padrone della situazione, 47  punti e una quantità di numeri da Cibona. Ma questa volta contro il Cibona.

   L’ultima finale di una coppa europea con Dražen Petrović in campo si gioca martedì 14 marzo 1989 ad Atene, nell’ormai familiare Palazzo della Pace e dell’Amicizia. Ad arbitrare il solito Rigas e lo jugoslavo Kurilić, l’avversario è la Snaidero battuta due volte nel girone e che in semifinale ha eliminato lo Zalgiris. Privando l’Europa di un’altra sfida Petrović-Sabonis ma proponendo al Real una squadra emergente, costruita da Tanjević e portata avanti da Franco Marcelletti. Vi impera ancora Oscar, anche se in Italia molti gli hanno già attaccato da tempo il cartellino di perdente, preoccupato più delle proprie statistiche che della squadra. Due squadre votate all’attacco, che cominciano dando l’impressione di non sbagliare mai. I primi minuti della finale sono una sorta di manifesto del basket europeo anni Ottanta, un basket che fa innamorare anche i non tifosi e dove ad alto livello chi ha lacune tecniche fa davvero fatica a stare in campo. 

   Dražen parte piano lasciando la scena a Rogers e Biriukov, con i due fratelli Martìn (Fernando gioca con un dito della mano destra infortunato) che subiscono il dinamismo a rimbalzo di Dell’Agnello e Glouchkov. Rogers inizia tirando benissimo, così come Oscar. Petrović ha sempre in mano il pallone, ormai anche al Real Madrid se ne sono fatti una ragione, ma non esagera. Quando vede che Oscar e Gentile stanno prendendo in pugno la partita decide però di intervenire, complice anche il passaggio a zona della difesa casertana. Dražen spara cinque triple di fila, è una della sue serate magiche. Anzi, di più. Primo tempo 60 a 57 per il Real Madrid, potrebbe essere tranquillamente il finale di molte partite di oggi (ed il limite per azione era di trenta secondi…). Il Real va avanti di 12 ma a quel punto Marcelletti ordina una zona 3-2 molto aggressiva che manda fuori fase i giocatori del Real. Tutti tranne Dražen, che continua a guadagnare falli e tiri liberi. Si gioca punto a punto, con Oscar che segna la tripla, da distanza NBA, del 102 pari a 18 secondi dalla fine, nonostante Cargol gli sia letteralmente addosso: non proprio un gesto tecnico da perdente. Petrović gestisce l’ultimo possesso, ma lo fa male e Gentile ruba il pallone andando poi a subire un fallo di Biriukov. Tiri liberi? Per diversi minuti il dibattito è aperto, in mezzo a schiaffi e insulti incrociati, poi Rigas in base a non si sa cosa (certo non esisteva l’instant replay) stabilisce che il fallo è avvenuto a tempo scaduto. Supplementari, con Petrović che prende in mano la situazione e segna 11 punti dei 15 del Real. Finisce 117 a 113 una delle più spettacolari partite della storia europea, con minirissa finale fra Petrović e Gentile. 

   In questo libro evitiamo di esagerare con le statistiche, rintracciabili ovunque, ma stavolta dobbiamo fare un’eccezione: Dražen finisce la sua settima finale di una coppa europea con 62 punti: 12 su 14 da due, 8 su 16 da tre e 14 su 15 ai liberi. Con il Real Madrid, la Spagna e l’Europa ai suoi piedi. Negli occhi di Oscar, 44 punti, e Gentile, 34, ci sono lacrime non metaforiche. I compagni di Dražen, in particolare Fernando Martìn, dovrebbero ringraziarlo, visto che Caserta ha dominato ai rimbalzi (un pazzesco 47 a 22…) e costretto il fenomeno del Real a superarsi. Invece Fernando nelle interviste post-partita non trova di meglio che lamentarsi: “Siamo contenti per la coppa, ma abbiamo giocato male. Non siamo una squadra”. Ha giocato con un dito della mano destra rotto, non si è sentito ringraziato da Dražen per il sacrificio e ci è rimasto male. Questo non toglie che Real-Snaidero sia uno dei pochi eventi sportivi della storia a rimanere guardabili anche a distanza di decenni, una partita quasi commovente nel suo raccontare l’epoca migliore del gioco. 

   Nemmeno la vittoria europea fa però entrare Dražen nel cuore dei compagni. Del resto lui non è mai stato bravo a fare gruppo, in alcun contesto: al Šibenka era il ragazzino terribile, al Cibona la stella in un’ottima squadra che aveva bisogno di lui per diventare grande, nella Jugoslavia l’unico campione della sua generazione. Dražen ha i suoi amici, quasi tutti peraltro legati al basket, non sente il bisogno di arruffianarsi i colleghi. E anche a Madrid funziona così. Fra l’altro detesta i locali, a qualsiasi ora e a maggior ragione di notte, non beve alcolici e non gli piace nemmeno stare in contesti in cui la gente sta con il bicchiere in mano e perde tempo, parlando di argomenti che non lo interessano: cioè tutti gli argomenti, pallacanestro esclusa. 

   La sua Madrid è rappresentata dall’appartamento a La Vaguada condiviso con la fidanzata Renata e dal campo di allenamento. Nella casa spagnola non ha nemmeno il telefono, ritiene che lo deconcentri e in ogni caso non gli serva: ogni giorno chiama i genitori e Aco dagli uffici del Real Madrid, mentre quando il club gli deve comunicare qualcosa, in genere una variazione dell’orario dell’allenamento, usa il suo vicino di casa Villalobos che va poi a bussargli alla porta. Gli unici del Real con cui ha rapporti umani, peraltro ridotti al minimo, sono lui e Rogers. E in campo si vede, anche in positivo: tre quarti dei tiri facili dell’americano nascono da scarichi di Petrović dopo essere stato raddoppiato o triplicato. I genitori lo vengono spesso a trovare, lo fanno anche l’ultimo dell’anno 1988. Non che si aspettino grandi festeggiamenti, conoscendolo, ma nemmeno che lui vada ad allenarsi da solo prima di una frugale cena con loro e Renata, con ritirata in camera da letto a mezzanotte e un minuto. 

   Al di là degli aneddoti, l’anno di Madrid è fondamentale nella trasformazione di Dražen. Perché si deve riprogrammare non soltanto come persona, in un ambiente oltretutto ostile, ma anche come giocatore. Nel Cibona si difendeva a zona, in certi momenti zona pressing, oppure non si difendeva limitandosi a battezzare gli avversari più scarsi: un eccesso di confidenza pagato a volte in maniera dolorosa, soprattutto in patria. Nel Real Sainz gli chiede anche difese individuali con buona intensità: Dražen esegue, facendogli però notare che così perde efficacia in attacco. Sainz vede che i fondamentali difensivi del croato sono più che buoni, al punto di poter marcare anche avversari di struttura fisica molto diversa, quindi insiste. Di sicuro a Petrović pur essendo introverso non manca la capacità di comunicare, quando vuole: il suo spagnolo è comprensibile già dopo qualche settimana, nelle interviste non ha bisogno di interpreti. 

   Alla fine l’unico vero problema di Dražen al Real Madrid è che l’ha sempre considerato una tappa intermedia prima della NBA, non un punto di arrivo: e questo in Spagna, al di là delle vittorie con il Cibona, non glielo hanno mai perdonato. Molti anni dopo Spahija spiegherà l’atteggiamento di Dražen: “Gli chiesi perché volesse lasciare l’Europa, dove era un idolo, per andare in una realtà che non conosceva e dove sarebbe ripartito da zero. Mi rispose che se non avesse accettato questa ultima sfida non se lo sarebbe mai perdonato, senza la NBA la sua carriera non sarebbe stata una vera carriera. Adesso sappiamo tutto della NBA, un giocatore europeo forte sa che ce la può fare, ma all’epoca non era così. Dražen, apparentemente così preciso e metodico, non poteva vivere senza sogni”. 

   La Liga di Dražen è una lunga marcia di avvicinamento alla finale, con tutto il rispetto per le squadre diverse da Real e Barcellona. Al termine della stagione le due grandi di Spagna si saranno incontrate undici volte, ma è significativo che le prime cinque siano vinte dal Real: un’amichevole, la finale di Copa del Rey, i due scontri diretti in campionato e quello in una seconda fase della stagione regolare che ha messo insieme squadre di A1 e A2. Due successi in trasferta, quindi, compresa questa sorta di andata della seconda fase con un Dražen da 34 punti e padrone della situazione. Un 94-87 che accende polemiche nell’ambiente blaugrana, dopo la delusione nelle Final Four di Eurolega vinte dalla Jugoplastika di Kukoč. Al ritorno a Madrid ci si gioca in sostanza il vantaggio del fattore campo nella finale per il titolo, al Real basterebbe perdere di 6 ma invece perde di 8, 95-87, in circostanze incredibili, con due tiri liberi sbagliati nel finale da Cargol e un’ultima azione in cui Sainz urla di dare palla a Dražen, cioè il miglior tiratore di liberi del mondo, mentre i compagni lo ignorano in maniera evidente. Il risultato è che il fattore campo nella serie decisiva sarà del Barcellona.

   Nel Real Madrid si pensa già alla finale durante i quarti contro il Taugrés di Vitoria e le semifinali contro la Joventut Badalona, superate con qualche affanno, mentre molto più sciolto sembra il Barcellona. Si gioca al meglio delle cinque partite con le prime due in Catalogna, la terza e l’eventuale quarta a Madrid, più la teorica quinta a Barcellona. Come al solito le due grandi di Spagna combattono anche sul piano mediatico: Aito monta una scontata polemica contro Dražen, giudicato troppo protetto dagli arbitri e teatrale nell’evidenziare i falli subiti. Il Real si presenta al Palau Blaugrana il 16 maggio con Romay e Fernando Martìn infortunati e la partita non ha storia: Norris brutalizza Antonio Martìn e la marcatura feroce su Dražen, tenuto a 24 punti, fa il resto: 94-69. Il Real sembra crollare, ma Fernando Martìn viene rimesso in piedi in qualche modo due giorni dopo e la sua sola presenza permette a Norris di non dominare: con meno pressione Dražen ne mette 37 e il Real espugna Barcellona 88-81, riconquistando il vantaggio del campo. Domenica 21 al Palacio de los Deportes di Madrid il Real si presenta di nuovo, in pratica, senza lunghi. Ha problemi anche Rogers, la situazione si mette subito male e la partita è una fotocopia di gara uno ma con uno scarto inferiore, 100-86. Nemmeno Dražen Petrović può battere il Barcellona senza un solo compagno in grado di difendere sui lunghi avversari. In garaquattro catalani sempre avanti e Real umilmente attaccato a Petrović, riuscendo a mettere la testa avanti soltanto nel finale. Sull 85-84 Real la palla non viene questa volta gestita da Cargol ma da Petrović alla Petrović: canestro da tre, Palacio impazzito e partita che si chiude sull’88-87 dopo l’ultimo canestro di Crespo. 

  La quinta partita a Barcellona viene giocata nelle stesse condizioni di infortuni, quindi con i madrileni a pezzi, ma soprattutto con la designazione di Juan José Neyro come uno dei due arbitri. Una designazione chiaramente anti-Petrović, considerato il precedente del 1986: amichevole del Cibona contro il Real Madrid, con polemiche di Petrović contro l’arbitraggio e sputo arrivato in faccia a Neyro. Che nella stagione di Dražen in Liga lo ha omaggiato di un’espulsione contro la Joventut e di un trattamento sempre particolare. Senza pensare agli arbitri il Real fa quello che può, ma in queste condizioni il Barca è nettamente più forte e vince 96-85. Sei blaugrana vanno in doppia cifra, ma la statistica interessante è quella dei 40 falli del Real contro i 18 del Barcellona, con sei blancos (Dražen  compreso) usciti per raggiunto limite e qualche secondo giocato in quattro contro cinque. Gli ultimi istanti delle finali diventano un tiro a Petrović, con tutti i giocatori (Epi in testa) che imitano le esultanze del croato e si buttano a terra simulando infortuni. Di questa prima e ultima stagione nella ACB rimangono tanti record, primo fra tutti quello di punti in una partita di serie finale (42), ma non il titolo ACB. Molti tifosi madridisti pensano che sia l’inizio di un ciclo di grandi vittorie con Dražen condottiero, ma senza la Coppa dei Campioni le possibilità che rimanga in Europa sono diventate pari a zero.

(Estratto del libro Gli anni di Dražen Petrović – Pallacanestro e vita, editore Indiscreto)

https://www.youtube.com/watch?v=u9v4k_gQb5E

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