Gli anni di Bearzot

23 Dicembre 2020 di Stefano Olivari

Ma quanti anni aveva Enzo Bearzot? Qualche giorno fa, il 21 dicembre, era il decennale della scomparsa dell’allenatore campione del mondo 1982, ma non temete: non vi infliggeremo l’ennesima rievocazione di quelle due settimane magiche, che fecero entrare l’Italia negli anni Ottanta (che per noi sono finiti nel 1991, con lo scudetto della Sampdoria che era la squadra più anni Ottanta di tutte), ma una riflessione che ci è venuta riguardando per la millesima volta vecchie foto di quella Nazionale. La riflessione è la seguente: Bearzot sembrava nostro padre, e del resto aveva l’età per esserlo.

Facile pensarlo con gli occhi di allora: eravamo quasi bambini e ai bambini gli adulti sembrano vecchissimi. Ma con quelli di adesso? Abbiamo adesso quasi l’età che aveva Bearzot nel 1982, 55 anni, e il Vecio continua a sembrarci molto più vecchio della sua età anagrafica. O siamo noi, intesi come generazione, a non essere mai cresciuti. Bearzot in campo metteva la tuta, ma non avrebbe mai girato per strada in sneakers. Di sicuro la sua figura incuteva soggezione anche a chi lo detestava, e nel mondo del calcio erano in tanti. Un po’ per l’ottima cultura generale, frutto non solo del liceo classico frequentato in tempo di guerra, cosa che per i parametri dell’epoca lo rendeva una specie di intellettuale (anche se non aveva preso la maturità), e molto per il suo essere un allenatore federale puro, tolte poche stagioni nello staff tecnico del Torino e qualche mese nel Prato.

Bearzot non amava i club, per avendo giocato in Serie A, e li riteneva sportivamente ed emotivamente ad un livello inferiore rispetto alla Nazionale. Inimmaginabile un Mancini, ma possiamo risalire anche fino a un altro federale quasi puro come Vicini, che sostenga una posizione del genere. Non è un caso che nel dopo Italia abbia detto no ad offerte quasi incredibili, che gli avrebbero consentito di monetizzare la sua immagine (non che la FIGC non lo pagasse, anzi per 4 anni lo pagò per stare fermo). Grazie a Gigi Garanzini siamo stati anche a cena con Bearzot, fuori dalle interviste, e ci colpì questo suo parlare della Nazionale come un’entità quasi mistica, al di sopra di chi come lui ne aveva fatto parte. Forse l’Italia in cui era cresciuto, quella degli anni Trenta, ascoltando alla radio le imprese della squadra di Pozzo, era leggermente diversa da quella di oggi in cui i riferimenti sono i trapper. E i figli di Bearzot, Paolo Rossi ma anche chi era più giovane, pur essendo diversi avevano almeno idea di cosa si stesse parlando.

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