Glazie Malcello

6 Novembre 2013 di Igor Vazzaz

Sabato 9 novembre si disputerà la finale di ritorno di AFC Champions League, ossia la Champions asiatica. Torneo che, progressivamente, si sta ritagliando uno spazio significativo nel calcio mondiale. Non siamo, certo, ai facili trionfalismi rispetto ai nuovi mercati né al banalismo da orizzonte emergente: semplicemente, registriamo la crescita di un movimento, quello asiatico nel suo insieme, che ci pare vivo e, in potenza, promettente, assai più (e ce ne dogliamo) dell’eterna speranza rappresentata dal calcio africano. Non solo: la finale di sabato vede il Guangzhou Evergrande di Marcello Lippi fresco di titolo cinese ospitare, con tutti i favori del pronostico, l’FC Seoul. In caso (tutt’altro che improbabile) di vittoria cinese, aspettiamoci le articolesse su Grazie Marcello

Si è fatto, negli anni, un gran parlare, neppure a torto, del calcio africano, di quanto il Continente Nero abbia dato, direttamente o meno, al football mondiale, tifando aprioristicamente per i vari CamerunSenegalNigeria in diverse circostanze iridate. Non che i successi siano mancati, pensiamo all’Olimpiade conseguita da Kanu e compagni nel 1996, bissata dai “fratelli” camerunensi a Sydney, quattro anni più tardi, senza contare i vari trionfi a livello giovanile. La fatidica prima semifinale ai mondiali veri (ossia quelli professionistici) è stata però sfiorata una prima volta, nel 1990, in quel damned 2-3 del Camerun di Milla contro la perfida Inghilterra di Platt e Shilton, regolata poi dagli azzurri nella finalina delle deluse. Vent’anni dopo il bis, con la sconfitta ghanese ai quarti contro l’Uruguay, peraltro al primo mondiale svoltosi in terra africana. E così, la prima nazionale a rompere la dittatura euroamericana (nel 1930, in semifinale andarono gli USA) sul fronte planetario è stata, invece, la Corea del Sud, nel 2002, semifinalista regolata dalla Germania futura sconfitta dal Brasile del vero Ronaldo.

Tutto questo per dire che, ben prima del prepotente avvento di altri orizzonti pallonari, non ci stupiremmo se, a insidiare la tradizionale supremazia atlantica del calcio mondiale, giungesse il continente asiatico che, sotto il profilo economico, rappresenta senz’altro il futuro. L’ingaggio, peraltro a prezzi fuori mercato, di giocatori, più o meno in vita, e allenatori di grande lignaggio è una realtà presente da qualche anno: posto che allestire squadre di calcio (figuriamoci movimenti interi…) non è operazione aritmetica (chiedere al venditore del 70% della proprietà dell’Internazionale Milano), vero è chesenza lìlleri non si làllera e, dunque, la presenza dei vari Drogba (poi rientrato in Europa), Lippi e compagnia bella rappresenta ben più che un elemento folcloristico rispetto a un panorama da seguire senza spocchia.

Insomma, sabato sera (20 ora locale, in Italia saranno le 13), al Tianhe Sport Center di Guangzhou, gli oltre cinquantottomila spettatori che si accaparreranno i biglietti potranno assistere a quello che, per i bookmaker, è uno scontro senza storia: 1,40 per la vittoria dei padroni di casa, 4,75 il pareggio al 90′, a 9 la vittoria esterna coreana. All’andata, il gremito World Cup Stadium aveva sussultato quando, dopo undici minuti, Sergio Ariel Escudero, argentino di natali spagnoli (nasce a Granada nel 1988) e successiva naturalizzazione giapponese, aveva portato in vantaggio i rossoneri del Seoul con un’azione personale. Dopo venti minuti, l’incornata del brasiliano Elkeson su cross da calcio d’angolo riportava il match in equilibrio, per un pari che reggeva sino alla pausa. Nella ripresa Gao Lin, quello che è considerato il più forte attaccante cinese, soprannominato questioni di… dimensioni fisiche Gaolinsmann, in memoria di Jürgen Klinsmann, metteva a segno una rete di rapina, dopo un batti e ribatti in cui la difesa coreana non è parsa ineccepibile. A meno di dieci minuti dal termine, il montenegrino Dejan Damjanović riacciuffava il pareggio per i padroni di casa, insaccando di destro al termine di un’azione in cui la difesa degli uomini di Lippi è apparsa completamente sbilanciata: tutti a destra, con due avversari sull’altra banda completamente smarcati. Due a due finale e responso rimandato al ritorno.

Nel caso in cui il Guangzhou(proprietà di un grande gruppo finanziario cinese, con svariati interessi nel settore delle costruzioni) conquistasse la sua prima coppa, riporterebbe il trofeo in Cina dopo ventitré anni (unico trionfo precedente quello del Liaoning Whowin F.C., nel 1990, all’epoca il torneo si chiamava Campionato d’Asia per club), ma, soprattutto, farebbe di Lippi il primo allenatore al mondo a vincere Mondiale, Intercontinentale, Champions europea e, infine, quella asiatica. Niente male, in effetti, con il giornalismo nostrano che si sta preparando a incensare il tecnico viareggino alla stregua d’un novello Marco Polo del pallone.

Niente male, lo ribadiamo a scanso d’equivoci, anche se pochi, in questi casi, ricordano come la società che l’ha ingaggiato sia in assoluto la più ricca del continente. Il che, se non ridimensiona l’impresa, dovrebbe comunque collocare la cosa in una prospettiva più corretta. Senza considerare che, in caso di vittoria, il Guangzhou parteciperebbe al Mondiale per club, quest’anno in programma in Marocco, a dicembre. Già immaginiamo i titoli, nel caso di una semifinale con il Bayern di Guardiola. Intanto, prima di qualsiasi previsione, c’è la finale di sabato. E buona fortuna a tutti quelli che, sia benedetto lo streaming, se la guarderanno.

(per gentile concessione dell’autore, fonte: ReLoco Sport)

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