Giro d’Italia 2015, meglio dello streaming e della RCS

14 Ottobre 2014 di Simone Basso

La gita in quel di Pechino, tra poliziotti, strade liofilizzate e allarmi smog, chiude in allegria (…) il 2014 della strada. Il consuntivo di una stagione bella e contraddittoria, addirittura storica – malgrado tutto – per il movimento italiano, lo lasciamo ad altri: meglio leggere le viscere del futuro prossimo. Per farlo, in ottica sciovinista, nulla è più attuale dell’analisi – seppure parziale – del rapporto tra l’universo bici e il factotum organizzativo del circo pro, ovvero RCS.

Lunedì 6 la presentazione del Giro è stata perfetta per illustrare le contraddizioni in seno al mondo Gazza/CorSera: niente Rai, uno streaming ballerino (saltato quattro volte…) e una sensazione di precarietà. Lasciando in un angolo la vicenda Acquarone, a dir poco fumosa (meriterà un articolo a parte), il marketing della corsa rosa pare riassumere la confusione del gruppo di via Solferino. Le grancasse RCS hanno sottolineato il primato assoluto di traffico nella giornata (magari tre quarti degli utenti erano collegati per insultarsi su J**e-R**a..) ma basterebbe paragonare quel che mostrerà Amaury il 22 Ottobre, il dì della vernice della Grande Boucle 2015, per realizzare le differenze.

L’ambaradan casereccio, il nostro, è slegato dal contesto, privo dell’entusiasmo genuino che dovrebbe ispirare un avvenimento di tale importanza. Le mance sono perle strappate involontariamente al cabaret: dalla presenza, inutile quanto misteriosa, della madrina corpoduro alle interviste a caldo (…), strampalati flussi di coscienza rivolti a ospiti perplessi. Avreste dovuto vedere la faccia di Cookson di fronte a tale domanda: “Mister President, what do you think about this curse?”. Andrea Monti, il direttore, straordinario esegeta del self branding, rivolto sempre dalla parte giusta, in favore di una telecamera o una macchina fotografica, sembra abbastanza avulso dall’immaginario di questo rito. Anche se non toccherà i vertici di un suo (povero) predecessore che, a una cena ufficiale, chiese a un collega chi fosse quel vecchietto saggio e gioviale (“Si chiama Fiorenzo Magni..”).

L’impressione è che RCS rimanga legata al Giro per mere ragioni economiche, perchè il macchinario rende tantissimo, ma che gli sia indifferente il resto del prodotto (sic) ciclismo (e sport) per una mancanza – drammatica – di cultura e progettualità. Si fa tutto attraverso una promoscion procteriana, piatta: tipo inserire Belinelli nella collana Grandi della Nba tra Oscar Robertson e Hakeem Olajuwon; in attesa di vedere che effetto farà Pirazzi a fianco di Anquetil e Bugno, oppure Zaza con Rivera e Laudrup. Se la Gazzetta dello Sport cartacea ci prova a targhe alterne, sempre che si escluda la parte calcistica, scritta per la lettura agile da bar con in mano una tazzina di caffè o un gelato, la versione internet è – nei contenuti e nella forma – delirante. Indistinguibile da un qualsiasi sito di gossip del dopo Dagospia, l’Hiroshima del giornalismo (?) italiano. La retroazione è un linguaggio Debordante e, nello specifico, un sadismo e una mancanza di rispetto verso il ciclismo quasi tracotanti. Ne certificano il livello la boutade sul motorino di Hesjedal e i rifiuti tossici del caso Pantani, ormai in zona Cogne e oltre. Quest’ultimo, un tormentone morboso, sparato in prima pagina una settimana (!) dopo la vittoria (e che vittoria…) di un italiano alla Festa di Luglio. Eppure le potenzialità sono evidenti (e ancora inesplorate) se risaliamo al felice epilogo triestino del Giro di Quintana, una festa e un bagno di folla clamorosi. Nello stesso pomeriggio della Coppa Italia con Genny a’ Carogna mattatore all’Olimpico: a quale avvenimento presenziavano le massime autorità sportive e dello Stato?

In fondo, in controtendenza a questo squallore, alla mancanza di rispetto verso la manifestazione tricolore più importante, il Giro in sé, la creatura agonistica disegnata da Vegni, rimane una garanzia di qualità. Non sono solamente la tradizione, i paesaggi e la ricchezza tecnica dei percorsi: emergono idee interessanti. Per esempio, il tracciato della prossima stagione è stato costruito con intelligenza e buon senso. Chilometraggio medio (3481,8 km), a metà tra il bonsai Vuelta e il tirannosauro Tour, e le tappe chiave di montagna con peculiarità che costringeranno le squadre a scelte tattiche rischiose. Analizzando l’inutilità di certi sentieri per capre, che imbalsamano la sfida dei migliori fino a pochi chilometri dal traguardo, si è deciso di proporre le salite più toste delle frazioni clou come penultime: Mortirolo e Colle delle Finestre prima, rispettivamente, di Aprica e Sestriere. Un tema intrigante al pari della Treviso-Valdobbiadene, una crono difficile (59,2 chilometri) stile Tour de France anni Novanta. Un progetto bello e ambizioso.

Però, ricascando nel solito bordone, ci si chiede perchè la Strade Bianche – una corsa unica nel suo genere – sia più apprezzata all’estero rispetto che da noi e si contano le righe dedicate dai quotidiani generalisti al recente Lombardia. Torniamo alle falle sistemiche appena elencate: come possa la Milano-Sanremo, un gioiello, un Cartier, perdere soldi ogni anno è un mistero. Poi si seguono certe vicissitudini e si capisce tutto. Non ci dispiace che le Manie e la Pompeiana restino fuori dal menu, se non fosse che segnalano la fragilità drammatica di un territorio, quello ligure, che – all’abbrivio di un autunno segnato dalle sciroccate – è già un colabrodo. Ma non sappiamo nemmeno dove sarà collocata la linea d’arrivo, dopo la rinuncia definitiva al Lungomare Italo Calvino, l’epilogo (triste) degli ultimi anni. Le informazioni ufficiali lo spostano in via Adolfo Rava, dietro la vecchia stazione ferroviaria; l’assessore allo sport del comune di Sanremo, Nocita, rivorrebbe invece l’approdo classico, quello in via Roma. Ci auguriamo che, per il 22 Marzo prossimo, si sciolgano le riserve e lo si comunichi almeno ai corridori.

(in esclusiva per Indiscreto, foto tratta da www.mentelocale.it)

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