Giornalisti nella cucina di Raiola

3 Maggio 2022 di Dominique Antognoni

La morte di Mino Raiola ha scatenato le solite reazioni mediatiche: un uomo spesso trattato dai media come un bandito e un ignorante (gli davano del pizzaiolo, a lui che era proprietario di una catena di ristoranti, come se pizzaiolo fosse un’offesa), spesso su mandato dei club, è diventato per gli stessi media quasi un santo e un intellettuale. Invece era soltanto un procuratore, probabilmente il migliore del mondo, un professionista bravissimo a fare gli interessi dei suoi assistiti, facendosi beffe di dirigenti incapaci e/o disonesti. La prendo però alla larga, come sempre, tanto abbiamo un sacco di tempo.

Qualche anno fa, in uno studio televisivo rumeno, il procuratore Giovanni Becali sputò addosso ad un giornalista. Sì sì, proprio così. Gli sputò addosso. Motivo? Il collega si era permesso di contraddirlo. Andò per gradi, perché l’atmosfera si stava riscaldando minuto dopo minuto. Prima Becali gli aveva simpaticamente detto di essere un idiota, poi di essere così stupido da farsela addosso (edulcoro). Vi risparmio il resto, però vi invito a guardare il video: Maimutzoiul Ioan Becali in actiune. Il colmo fu che quello che si sentì offeso fu Becali. Difatti se ne andò dallo studio, minacciando e sputando ancora. Mi fece impressione che i conduttori del programma, che facevano in teoria lo stesso mestiere di Emanuel Terzian, non avessero detto una parola. In pratica, la ruffianeria imponeva che valesse di più avere come ospite presente e futuro Becali e non un giornalista amico loro.

Su una televisione italiana non sarebbe andata tanto diversamente, al di là dello sputo. Il conduttore avrebbe pregato Becali di calmarsi e di fare pace. Come si dice da queste parti, bisogna ricucire i rapporti. “Siamo tutti sulla stessa barca”, è una delle frasi che praticamente dà la possibilità e il diritto a tutti di camminare sulla schiena dei giornalisti, in questo caso sportivi. Qui avrebbero detto che “Un momento di nervosismo ci può stare, gli animi si sono un po’ accesi, ma poi i due sono andati a cena insieme, in fondo Becali è un buono, una persona genuina”.

Com’è finita in Romania? Che la rete, Pro Tv, vietò a Becali di intervenire in diretta e di essere presente negli studi. La tv, la più importante del paese, una specie di Mediaset, decise che l’immagine e la credibilità erano tutto. Insomma, si comportò meglio dei suoi giornalisti. Una volta Becali provò ad insultarmi in diretta. Da quel giorno ho trovato tempo per lui un sacco di volte, ridicolizzandolo e attaccandolo senza alcun problema, sui giornali e sulle televisioni rumene che me lo hanno lasciato fare. Come diceva Donald Trump: se uno ti fa un torto reagisci mille volte tanto, perché pensava di farla franca e di vincere facile. Ricordo anche un sms mandato a lui il giorno che andò in prigione per un sacco di reati contro il fisco: “Tutto bene quel che finisce bene”. Prima di passare oltre, da mettere agli atti (qui video: Becali face misto de nespalatu de cartianu) come ad un altro giornalista disse: “Sei un pezzente, un povero in canna e hai l’odore di uno che non si lava, puzzi”.

Andiamo avanti, tornando a Raiola e alla sua santificazione postuma. Certo non sputava ai giornalisti, ma non è che ci andasse lontano. Fosse successo, avrebbero fatto finta di nulla, perché “Serve per le notizie”. Che peraltro non dava mai ad alcuno di loro, per dirla tutta. Il motivo? Aveva un stima così bassa dei giornalisti che la metà bastava, come può confermare chiunque lo frequentasse. I giornalisti però si sdraiavano davanti e lui, ridendo anche quando venivano trattati da imbecilli. Quante volte lo abbiamo sentito dire, giustamente, “Ma secondo te io vengo a dirtelo, se ho fatto firmare Balotelli per il Milan?”. Tutto questo mentre Mino camminava spedito, con il giornalista umiliato e felice. Che rideva. Lo sputo, a onor del vero, mancava. La situazione era assurda: da un lato Raiola veniva insultato in maniera volgare, perché non proveniva da Harvard (ma nemmeno i giornalisti e i dirigenti del calcio italiano), e dall’altro veniva omaggiato oltre il confine dello zerbinamento.

Non si fermava mai a parlare con la stampa, forse perché per lui erano loro a doverlo rincorrere. Ricordate quella volta che convocò tutti a Monte Carlo per una conferenza stampa? Avrà accolto i giornalisti in una sala di un bell’albergo, penserete, tanto per tenerseli buoni. In una lounge dell’aeroporto, almeno? Siete lontani anni luce. Nella cucina di casa sua, perché è questo che si meritavano, secondo lui. E loro lì senza protestare, perché serviva e si dovevano mantenere buoni rapporti. Con uno che si comporta così, mantenere buoni rapporti? Mah. A volte ci si può umiliare, ma bisognerebbe averne come minimo la convenienza.

Persone di 40 anni e più, che sbraitano sempre quando devono sdottorare sulla deontologia, diritti e stipendi alti, ma che di orgoglio e amor proprio non ne hanno manco ombra. Gli insulti vanno considerati goliardia, la mancanza di educazione un modo colorito di esprimersi. Vale per Raiola come per tutti i presidenti e dirigenti maleducati, per non dire dei calciatori. Un rutto viene preso per schiettezza, uno che cerca di investirti con la macchina è un burlone, uno che non ti risponde alla centesima telefonata è “Perché avrà da fare” (noi no, invece). Insomma, non viene rispettato soltanto chi non si fa rispettare. E sui giornalisti sportivi, come su altre cose, aveva davvero ragione Raiola.

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