FIFA-Blatter, il mistero delle dimissioni lunghe
3 Giugno 2015
di Stefano Olivari
Le dimissioni di Joseph Blatter dalla presidenza della FIFA, annunciate da lui stesso ieri a Zurigo, al di là del caso Valcke meritano un’altra analisi rispetto alla sua elezione per il quinto mandato consecutivo avvenuta venerdì scorso. Perché una cosa è contare i voti (Blatter ne ha avuti 133 su 209 paesi, meno di quanto si aspettasse ma comunque con un margine ampio per la cosiddetta ‘governabilità’), un’altra entrare nella psicologia dell’uomo che ha creato la FIFA come la conosciamo oggi: un’azienda con una liquidità pazzesca, (circa un miliardo e mezzo di franchi), gli sponsor che fanno la coda fuori dalla porta invece di dettare legge e una serie di tornei che hanno reso la Coppa del Mondo la gemma più splendente dell’impero ma non l’unica.
Blatter ha spiegato la sua uscita di scena in maniera sintetica: “Il mio profondo attaccamento alla FIFA mi ha spinto a questa decisione. Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto, per me contano la FIFA e il calcio. Continuerò a esercitare le mie funzioni finchè non verrà scelto un nuovo presidente. Voglio il meglio per il calcio, per questo avevo deciso di ricandidarmi alla presidenza”. Ma soprattutto ha dato tempi abbastanza precisi per la sua successione: “Il prossimo congresso della FIFA è previsto per il 13 maggio 2016 a Città del Messico, ma questo ritarderebbe gli effetti della mia decisione e quindi il comitato esecutivo organizzerà un congresso straordinario per l’elezione del mio successore, alla prima opportunità. Non troppo presto, in modo che i candidati abbiano il tempo di portare avanti le loro campagne”. Facile ipotizzare il prossimo dicembre, massimo gennaio.
Torniamo però al caso Valcke, che insieme al resto dell’operazione dell’FBI ha dato una spinta decisiva a Blatter nell’annunciare (ripetiamo: annunciare) il passo indietro. Caso Valcke che chiamiamo così perché il New York Times ha dato il nome del segretario generale della FIFA al personaggio che secondo l’inchiesta americana avrebbe dato 10 milioni di dollari ai dirigenti CONCACAF per assicurarsi il loro voto nell’assegnazione del Mondiale 2010 al Sudafrica. La FIFA ha specificato che quei bonifici erano stati sì effettuati, ma con firma di Julio Grondona, lo storico presidente della federcalcio argentina e vicepresidente FIFA, che però non è potuto intervenire nel dibattito. È infatti morto dieci mesi fa.
Ma ad inchiodare Valcke c’è una mail d’epoca del presidente della federcalcio sudafricana, Oliphant, in cui viene invitato a togliere 10 milioni dai fondi dell’organizzazione di Sudafrica 2010 per girarli all’allora presidente CONCACAF Jack Warner. Bisogna anche ricordare che per quel Mondiale sono già emersi tentativi di corruzione da parte di altri paesi in gara, in particolare il Marocco, ma si può banalmente dire che il Sudafrica abbia offerto di più. Non con valigette di contanti, come si fa a livelli più bassi, ma con un finanziamento per la ‘Diaspora’ che poi Warner ha girato in parte ai suoi amici (anche quel Chuck Blazer, che dell’FBI è diventato informatore non proprio volontario). La straordinaria logica della FIFA: secoli fa milioni di africani sono stati portati a forza come schiavi in Centro e Nord America, quindi un paese africano che vuole organizzare i Mondiali deve finanziare la conoscenza di questo crimine non con libri e documentari ma attraverso soldi regalati al presidente della CONCACAF. Giusto, no?
Ma Valcke, Grondona e Warner pur essendo stati vicini a Blatter non sono Blatter, uno abituato a resistere a tutto, quindi si torna alla zona d’ombra di queste dimissioni. Le pressioni di Michel Platini, che a questo punto probabilmente lascerà la presidenza dell’UEFA per candidarsi apertamente come guida della FIFA senza nascondersi dietro i vari Al-Hussein, Figo e Van Praag, sono state molto forti ma la minaccia di lasciare la FIFA non è mai stata realistica. Perché in disaccordo con Platini e quindi blatteriane sono la Russia, la Francia, la Spagna, forse anche l’Italia. In altre parole, Blatter ha sempre governato la FIFA senza il consenso dell’UEFA. Nel 1998 Blatter fu eletto presidente battendo proprio il numero uno UEFA Lennart Johansson per 111 voti a 80, con un’Europa molto più compatta rispetto ad oggi. Nel 2002 invece superò il camerunense Issa Hayatou, spinto dall’Africa e da una parte dell’Europa, prendendo 139 voti su 195. È anche vero che nel 2007 e nel 2011 Blatter era candidato unico, ma di sicuro l’Europa non lo ha mai sostenuto. Insomma, Blatter è accerchiato mediaticamente e gli sono ostili molte nazioni importanti, ma un dirigente navigato come lui non può dare le dimissioni per così poco. Il ‘nemico’ Platini, suo ex protetto, gli ha comunque reso l’onore delle armi: “Quella di Blatter è stata una decisione difficile, coraggiosa e buona”.
Si può essere certi che nei prossimi mesi non mancheranno sorprese, perché anche se davvero si dimetterà è probabile che Blatter abbia pronto per il prossimo congresso un suo candidato, da contrapporre a Platini. Quello che è certo che è la FIFA-azienda nel bene e nel male l’ha creata lui, che ne fa parte dal 1975 con vari incarichi e che per quasi un quarto di secolo è stato considerato l’uomo efficiente e concreto dell’organizzazione, con Havelange dedito soltanto a spese pazze e finanziamenti a pioggia (per non dire di peggio). Da ex dirigente della Longines, ben conosciuto anche nel mondo dell’atletica oltre che in quello dell’hockey su ghiaccio dove si è formato, Blatter è entrato nella FIFA con un altro piglio rispetto a quello di ricchi signori che usavano quella calcistica e altre federazioni soltanto per le pubbliche relazioni personali. E l’ha resa un target ambito per le aziende, riducendo drasticamente il numero di sponsorizzazioni (adesso sono sei) aumentandone però esponenzialmente il valore. Anche i diritti televisivi sono esplosi sotto la sua presidenza, ma con l’Europa sempre a pagare il grosso. Avere ingrandito il giro d’affari non è sempre stato sinonimo di buona gestione, come ha dimostrato il caso ISL che quasi aveva portato al fallimento la FIFA (ma la colpa alla fine fu scaricata su Havelange) ma da cui poi la federazione si è ripresa. Le dimissioni annunciate sono quindi magari sincere, ma certo non sono un’uscita di scena. La sua FIFA Blatter non la mollerà tanto facilmente.
(pubblicato su Il Giornale del Popolo di mercoledì 3 giugno 2015)
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