Fetch The Bolt Cutters, il disco di un anno da cani

26 Dicembre 2020 di Andrea Ferrari

Una delle cose che non ci mancherà del 2020 sarà la classifica dei dischi dell’anno delle varie testate, anche se pure a noi piace farla, con tanto di playlist. A svettare in quasi tutte è Fetch The Bolt Cutters di Fiona Apple, lavoro che ha ottenuto voti altissimi: Pitchfork s’è spinto addirittura fino a un 10. Quando l’abbiamo ascoltato e riascoltato ci pareva però di essere su Scherzi a parte tra rumori di pentole e versi del cane, un disco che, a parte un paio di brani discreti, ci sembra tutto fuorché un capolavoro.

Ma non è del lavoro della Apple che vorremmo parlare (non se lo merita) bensì di cosa è la critica musicale oggi. La genesi delle recensioni è stata interessante, perché dopo il roboante 10 di Pitchfork c’è stato l’effetto bandwagon delle altre testate, con quelle italiane che hanno subito seguito lo script del capolavoro, da provincialotte quali sono. Ancor più sconfortante è stato leggerle: di osservazioni sulla qualità musicale dell’opera non c’è quasi traccia, il focus è tutto sui testi che sono lo spunto per l’ennesima filippica sui temi del #MeToo, con tutto il suo armamentario retorico.

Nulla da eccepire se fossimo di fronte a grandi canzoni, il problema è che il nesso di causalità è totalmente ribaltato: non grandi pezzi che toccano certi temi, ma grandi in quanto trattano gli argomenti “giusti”. Sia chiaro, la critica musicale s’è sempre distinta per capirne poco, con grandi album sottovalutati al momento dell’uscita e poi rivalutati ipocritamente a decenni di distanza così come nell’esaltazione di mattoni noiosissimi solo per distinguersi dal popolino a cui piace la musica “commerciale”. Una sensazione sempre più forte di fronte a recensioni conformiste che sembrano solo un pretesto per sentirsi parte d’una presunta élite.

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