Federer è finito, anzi no (e nemmeno Nadal)

5 Settembre 2018 di Stefano Olivari

Non volevamo scrivere post su Federer che dopo la sconfitta con Millman sarebbe un tennista finito, ma la fantastica partita, per intensità fisica e perché nessuno dei due ha tremato nei momenti decisivi,  fra Nadal e Thiem ci ha convinto a farlo. Ancora una volta ringraziamo il nostro gatto (e tutti i gatti, comunque) di esistere, visto che il tradizionale vomito delle quattro ci ha fatto sintonizzare in diretta su una partita che avremmo visto registrata e male, come tutte le cose in differita. Ha vinto Nadal al tie break del quinto set, per quei dettagli che fanno girare le partite a vantaggio dei fuoriclasse e perché in qualche occasione è stato più intelligente nel prendersi i punti a rete (non è solo la tattica, perché lì la mano è migliore di quella dell’austriaco). E così la prima semifinale degli US Open 2018 sarà fra Nadal (classe 1986, primo Slam vinto nel 2005) contro Del Potro (1988, qui vincitore nel 2009), mentre la seconda probabilmente fra Djokovic (1987, primo Slam nel 2008) e Cilic (1988, vincitore nel 2014). Se poi qualcuno volesse scommettere su sorprese o super sorprese, Nishikori e Millman sono del 1989. Ma dicevamo di Federer…

Una facile ricerca sul ventenne Google consentirebbe di trovare migliaia di articoli su Federer finito, scritti fra lo Wimbledon 2012, vinto in finale su un Murray all’inizio della cura Lendl, e l’Australian Open dello scorso anno con l’epica finale contro Nadal che ha segnato anche un ribaltamento emotivo visto che da allora lo svizzero ha sempre (tre volte) battuto lo spagnolo. Va detto che i primi discorsi su Federer finito risalgono a Wimbledon 2008, perso contro Nadal al termine di un’altra finale memorabile, come è logico secondo i vecchi schemi secondo cui un tennista dava il meglio entro i 25 anni: è stato così anche per chi ha vinto anche oltre i 30, come è stato per Agassi e Sampras. Federer (per non dire di Nadal e Djokovic, in ogni caso 5 e 6 anni più giovani) ha fatto saltare questo schema, perché nel 2017 e nel 2018 in alcune partite è stato del tutto degno del miglior Federer, al di là del dettaglio di aver vinto 3 degli 8 tornei dello Slam di queste due stagioni. E solo l’altro giorno proprio a Flushing Meadows ha quasi scherzato contro un Kyrgios deferente: stiamo parlando di uno dei giocatori con in canna uno Slam quando Federer, Nadal e Djokovic si ritireranno. Questo non deve far dimenticare che nel 2018 dopo Melbourne ha sempre perso contro i giocatori al top: Del Potro a Indian Wells, Anderson a Wimbledon, Djokovic a Cincinnati.

Detto questo, il Federer visto contro Millman è sembrato a terra fisicamente: i 37 anni certo non favoriscono il recupero, il tre su cinque nemmeno, e il tennis degli Slam ha un’intensità che non è quella di Stoccarda o di Halle (dove quest’anno ha perso con Coric, facendoci perdere una quantità di soldi per noi imbarazzante). Tutto questo poteva essere tamponato, come è avvenuto in questi ultimi anni, con una grande efficienza al servizio, ma nell’occasione Federer ha battuto da schifo (per i suoi canoni) sia la prima sia la seconda e quindi una caduta, contro il 55 del mondo e non un maestro del villaggio Valtur, ci può stare. Ma cosa volevamo dire? La solita cosa. Tutta questa ansia di invocare il ritiro di chi vince ancora, come Federer, o di chi non vince più come Valentino Rossi, è spiegabile soltanto con l’orrore delle vite di chi questi ritiri invoca. Come se si volesse riportare gli dei sulla terra, lasciando nella nostra mente la loro versione migliore. Ma è meglio giocarsi la vita su un campo da tennis invece che sparlando del collega alla macchinetta del caffè, Roger e Valentino devono averlo intuito. E fanno bene a stare in campo fino a quando non crolleranno.

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