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False Flag, un Israele quasi normale

Biro 14/12/2017

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Alcune serie televisive hanno un’idea di base così forte da resistere a qualsiasi vuoto di sceneggiatura e False Flag è senz’altro una di queste. La serie israeliana ideata da Maria Feldman e Amit Cohen, che abbiamo appena terminato di vedere su Fox e di cui è in produzione la seconda stagione, prende il nome da un termine usato dai servizi segreti di mezzo mondo, riferito ad operazioni di spionaggio portate avanti facendo ricadere le responsabilità su altri servizi segreti o stati. Gli esempi sono infiniti e anche provinciali, basti pensare alla strategia della tensione, con l’effetto perverso di dare per scontato che l’evidenza sia falsa. La serie stessa prende liberamente spunto da un fatto del 2010, l’uccisione di un terrorista di Hamas avvenuta a Dubai e di cui ovviamente si diede la colpa al Mossad.

False Flag intesa come serie parte invece dal rapimento, avvenuto a Mosca, di un ministro iraniano la cui colpa viene subito data a cinque cittadini israeliani, apparentemente ignari di tutto e con soltanto una cosa in comune: avere tutti un doppio passaporto. Il governo israeliano nega però ogni responsabilità e incarica lo Shin Bet (uno dei tre ‘servizi’ israeliani, quello delegato alla sicurezza interna, oltre a Mossad e Aman) di indagare sui cinque: un chimico, Ben, una maestra d’asilo, Asia, una contabile, Natalie, un nullafacente, Sean, e un’insegnante, Emma. Si scoprirà presto che fra di loro ci sono altri tipi di relazione e che almeno due su cinque lavorano per servizi più o meno deviati, ma la trama a volte un po’ debole nel giustificare tutto (non è possibile che gente pedinata possa navigare sul web senza essere intercettata) passa in secondo piano rispetto all’ambientazione e allo stile. L’ambientazione è un Israele quotidiano, un po’ sonnacchioso e senza lussi, che apprende le notizie dal mondo come le apprendiamo noi, anche quando riguardano Israele. Lo stile non è certo adrenalinico, da imitatori degli americani, anche se l’azione non manca e lo stile dei poliziotti israeliani va oltre l’azione: quando uno degli indagati chiede l’avvocato gli viene risposto ‘Fra dieci giorni, quando si parla di sicurezza dello stato’. Ma senza cattiveria, è così e basta. Quanto alla psicologia dei personaggi, rende credibile in ogni momento qualsiasi loro cambio di campo fra buoni e cattivi.

Poi ognuno in Israele vede ciò che vuole: noi uno dei pochi paesi democratici e in senso ampio occidentali in cui esista un senso del bene comune. Cementato non tanto dalla religione,  quanto dai nemici e da esperienze comuni come un servizio militare serio (tre anni gli uomini, due le donne) e persone ancora in grado di raccontare la fondazione del paese. Un paese che non a caso ha un premier come Netanyhu: super esperto di terrorismo, ha studiato al MIT e ad Harvard, ha condotto materialmente mille missioni rischiose fino alla guerra del Kippur prima di dedicarsi alla politica. Non esattamente la biografia di Gentiloni, Di Maio, Berlusconi o della Mogherini con la quale ha interagito qualche giorno fa, per quanto riguarda l’attaccamento al proprio paese, per non parlare dei tanti ministri della Difesa che non hanno mai fatto il servizio militare né quello civile. False Flag è in definitiva un buon esempio di televisione nazionale comprensibile anche all’estero, come altri successi israeliani tipo Prisoners of War o Galis Summer Camp, una boccata d’aria fra serial killer e corridoi della Casa Bianca.

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