Faccetta bianconceleste, oltre il laziale fascista

13 Giugno 2017 di Stefano Olivari

Quante volte di un laziale abbiamo pensato ‘Se è laziale è probabilmente anche fascista’? Tante, al di là del giudizio sul fascismo e sulla Lazio. A questo punto il compitino imporrebbe di scrivere che sono tutti luoghi comuni, che le tifoserie sono uguali, che non si può generalizzare e via giornalisteggiando. La forza del libro di Stefano Greco, ‘Faccetta biancoceleste – Lazio, neofascismo e nascita del movimento ultras nell’Italia degli anni di piombo‘, è anche quella di chiamare le cose con il loro nome. E quindi il giornalista romano, da ex ultras laziale nella seconda metà degli anni Settanta e nella prima degli Ottanta, parte proprio dal luogo comune. Sì, con le dovute eccezioni la correlazione sta in piedi. A maggior ragione per determinate generazioni, quelle che la politica l’hanno vissuta in strada e non attraverso uno schermo.

Il libro è una sorta di ‘Come eravamo’ laziocentrico, che parte dalla commovente Lazio di Chinaglia e arriva al ritorno in serie A con Giordano e Manfredonia graziati dopo la vittoria nel Mondiale spagnolo. Anni difficili, nel calcio e soprattutto nella politica, con le curve che diventano luoghi in cui la lotta fra opposti estremismi (esistevano anche le curve di sinistra, oggi quasi scomparse) prosegue, in una situazione in cui calcio e politica diventano indistinguibili nelle vite di chi li ha respirati fino in fondo. Impossibile sintetizzare tutte le storie di questo libro dal titolo geniale e dal respiro molto romano (per noi amanti dell’identità è un grande pregio, poi ci sono quelli che da Lecce ti spiegano i segreti di Minneapolis), con capitoli vibranti scritti da giornalista e non da letterato frustrato. Capitoli che quasi tutti possono vivere di vita propria: la sfida di Sollier, le trasferte nell’era pre-smartphone (straordinario il racconto di quella di Pescara, con tanto di manichini impiccati esposti dagli abruzzesi lungo il percorso), i gemellaggi, i calciatori calati nella realtà cittadina, la nascita degli Eagles Supporters, i quartieri della destra romana, la morte di Vincenzo Paparelli e le storie mai raccontate intorno ad essa, i tanti personaggi che in curva assumevano un ruolo quasi mistico (Goffredo Lucarelli, il Tassinaro, su tutti), il primo calcioscommesse, le conseguenze reali della violenza (non è un videogioco, il dolore e la morte sono veri) viste da vicino, la serie B, la frattura psicologica con la destra in doppiopetto alla Almirante, ma soprattutto il momento drammatico in cui ci si accorge che l’adolescenza è alle spalle.

Tantissimi temi, che abbiamo vissuto da spettatori perché al momento giusto eravamo alle elementari mentre negli anni Ottanta l’ultras era diventato un’altra cosa, nella migliore delle ipotesi una specie di violento (parere nostro, non dell’autore) senza causa e nella peggiore il braccio armato di alcuni dirigenti di club o di associazioni mafiose. Perché, per quanto discutibile sia l’idea, battersi per l’idea ha sempre un senso. Poi c’è chi si esalta perché ha un giga in omaggio e può vedere in diretta il campionato finlandese, lo rispettiamo (si fa per dire) ma non ci interessa. Greco non ha smesso di seguire la Lazio nel 1983, ha anzi scritto tanti altri libri sul ‘dopo’ e lo stesso ‘Faccetta biancoceleste’ è pieno di riferimenti a questo dopo (illuminanti gli episodi che spiegano il coraggio del vero Di Canio, non il suo sosia che si esalta per il marketing della Premier League), però è chiaro che quegli anni Settanta sono stati gli ultimi in cui realmente molti giovani, non soltanto di destra, hanno sognato non di prendere il potere ma di cambiare il modello di società in cui questo potere è inserito.

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